Marnie, di Alfred Hitchcock

Il film più bergsoniano del regista perché i meccanismi psichici rimandano alla natura inconscia della immagine cinematografica. Dal romanzo di Winston Graham.

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“Eppure non molto lontano, quelle voci, le voci di scherno dei bambini si potevano ancora udire. E si poteva ancora sentire, come capita con un arto amputato, quello che lo aveva portato lì: il desiderio di chi non è stato amato per tutto quello che ha fatto per meritarsi di essere amato.

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David Leavitt

Nell’incipit di Marnie ci dovrebbe essere un sottotitolo: questa non è una borsetta. L’inquadratura ravvicinata svela il mistero, la ripiegatura e la forma dell’oggetto rimandano a una vagina. La borsetta è un tipico esempio di immagine eidetica, in cui il visibile e l’idea si incontrano per produrre un significato, per realizzare una fusione tra configurazione e concetto. E infatti la natura del disturbo psichiatrico di Marnie è sessuale: la sua frigidità si trasforma in ossessione che la porta di azienda in azienda per rubare compulsivamente. L’assunzione di personalità multiple e la bugia sistematica non la possono proteggere da sé stessa, dalla natura genitale di una pulsione che risiede in un trauma infantile.

sean connery e tippi hedren in marnieMarnie è il film più bergsoniano di Hitchcock perché i meccanismi psichici rimandano alla natura inconscia della immagine cinematografica (un esempio su tutti la deformazione grandangolare e l’effetto zoom in avanti e carrellata all’indietro nella scena dell’omicidio). Tippi Hedren non è che la evoluzione freudiana della Janet Leigh di Psyco e nello stesso tempo rappresenta la sostituzione da parte del regista della figura totemica di Grace Kelly. Quest’ultima sembra rivivere nella somiglianza con il personaggio di Lil-Diane Baker, in perenne posizione vojeuristica. Ai tempi Marnie fu criticato perché tradiva in più punti il romanzo omonimo di Winston Graham e perchè Hitchcock svelava molto di sé stesso nel rapporto tra Mark Rutland-Sean Connery e Marnie-Tippi Hedren. Sulla scia dello Scottie di Vertigo, Mark approfitta della patologia della donna per plasmarla secondo i suoi desideri e intrappolarla fino ad arrivare alla violenza carnale durante il viaggio di nozze.

tippi hedren e sean connery in marnieMa il film non è solo la sublimazione di desideri repressi che trasformano in immagini espressioniste le fobie della giovane protagonista fino ad inondare di rosso la pellicola; Marnie contiene anche una scena che è paradigmatica del concetto hitchcockiano di suspense. E’ ormai sera ed è finito l’orario di lavoro, in ufficio è rimasta Marnie che cerca di ripulire la cassaforte. Una inquadratura fissa divisa in due da una sottile parete come invisibile split screen: da una parte la cleptomane sta finendo il lavoretto e cerca di fuggire via, dall’altra la improvvisa comparsa della donna delle pulizie che si avvicina lentamente al luogo del delitto. Una immagine fissa poi un montaggio alternato, infine il colpo di scena. Hitchcock allarga il sapere dello spettatore, lo fa partecipe del pericolo incombente e infine lo coinvolge empaticamente fino alla risoluzione del climax. Da una parte la seduzione, dall’altra il processo intellettivo-interpretativo: Hitchcock è un mago che gioca con la promessa, la svolta e infine con il prestigio sorprendente. Un altro aspetto del film è l’attenzione ai rapporti tra i personaggi. Già nel primo incontro a Baltimora con la madre Bernice (Louise Latham), Marnie mostra la conflittualità irrisolta di questo rapporto: i crisantemi che sostituiscono i gladioli, i capelli biondi accusati di volgarità, la Bibbia citata in maniera blasfema (“il denaro misura tutte le cose”), una sospetta (f)rigidità “non abbiamo bisogno degli uomini”, una manifesta anaffettività (“perché non mi hai mai amato?”), la gelosia per la bambina Jessie. E’ facile capire che sia madre che figlia hanno messo in moto il meccanismo della rimozione ma il passato bussa alla porta come nella scena fotocopia di Notorius che parte dalla cima di una scalinata per andare a planare lentamente su un primo piano paralizzante.

cameo di hitchcock in marnieSean Connery è l’uomo cacciatore (con figura paterna ipertrofica) che sta cercando di intrappolare questo giaguaro femmina ma finisce dentro un universo costruito su menzogne e segreti, l’universo di una donna che dichiara di amare soltanto i cavalli e disprezzare l’intero genere maschile. Hitchcock ci fa parteggiare per questa poveretta soprattutto nella scena delle libere associazioni: l’inizio è ironico ma presto degenera nel panico e nel terrore (occhio-fissare, sesso-maschio femmina, morte-Marnie, rosso-bianco-rosso). Marnie non vuole essere penetrata, non vuole essere ammaestrata; si sente sporca e non basta tutta l’acqua del mondo a cancellare quella macchia purpurea sulla sua camicetta. Hitchcock riesce a rendere magistralmente questa repulsione verso una fisicità che rimanda sempre a quel peccato originale, portando il suo personaggio a schiantarsi sulla altissima siepe di un desiderio di affetto mai soddisfatto (il colpo di pistola al cavallo ha una simbologia autolesionistica). Ed è questo desiderio di “chi non è stato amato per tutto quello che ha fatto per meritarsi di essere amato” che, non trovando compimento, porta Marnie alla regressione infantile e a rifugiarsi sotto il cielo di plastica di Baltimora.

Da sempre apprezzato dagli amanti del “cinema puro” (Truffaut lo definirà “un capolavoro malato”), Marnie è uno dei film di Hitchcock che riesce a mantenere in un equilibrio imperfetto tre logiche fondamentali: la logica della percezione del visibile, la logica dell’organizzazione narrativa delle immagini e la logica della identificazione spettatoriale.

 

Titolo originale: id.
Regia: Alfred Hitchcock
Interpreti: Tippi Hedren, Sean Connery, Diane Baker, Martin Vogel, Louise Latham
Durata: 120′
Origine: USA, 1964
Genere: thriller

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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