Filmstunde_23, di Edgar Reitz e Jörg Adolph

Dopo 55 anni, il regista riunisce il gruppo di studentesse di un corso di cinema del 1968. E realizza un magnifico film su ciò che persiste oltre il tempo che passa. BERLINALE 74. Berlinale Special

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Nel 1968, Edgar Reitz ha poco su per giù 35 anni, ma è già uno dei più attivi protagonisti del Nuovo cinema tedesco. Nel 1962 era stato tra i firmatari del Manifesto di Oberhausen e nel 1967 aveva realizzato il suo primo lungometraggio, Malhzeiten, premiato come miglior opera prima alla Mostra del Cinema di Venezia. Ha quindi una carriera già avviata, quando decide di lanciarsi in un nuovo progetto sperimentale: un corso di cinema in un ginnasio femminile di Monaco. Per alcuni mesi, Reitz segue un gruppo di ragazze di 13-14 anni, introduce le nozioni fondamentali del linguaggio cinematografico, affronta le questioni teoriche relative alle implicazioni delle scelte formali, ma soprattutto punta sulla pratica laboratoriale. Procura alcune macchine da presa Super8 e invita ogni studentessa a girare un cortometraggio, in maniera assolutamente libera. Realizzati i lavori, una proiezione pubblica e un dibattito con i genitori definiscono il bilancio del percorso fatto. Infine, Reitz ripercorre, a caldo, l’esperienza in un documentario per la televisione, Filmstunde (Ora di cinema).

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Cinquantacinque anni dopo, il regista, splendido novantenne, decide di riunire la classe dell’epoca. Si fa accompagnare dal documentarista Jörg Adolph, guarda caso poco più che cinquantenne. E chiama a raccolta le vecchie compagne di scuola, ormai signore mature che hanno vissuto le loro storie. Ecco allora che Filmstunde_23 ritorna alle vicende e al senso di quel corso del 1968. Le immagini di repertorio si alternano a quelle del presente, in cui le donne si confrontano con Reitz, rivedono i vecchi lavori (alcuni strepitosi), li commentano, rievocano le sensazioni dell’epoca, ridono, scherzano. Riaffermando le motivazioni e i risultati di quell’esperienza. Se l’obiettivo primario del progetto era sensibilizzare le istituzioni sull’opportunità di inserire il cinema tra le materie curriculari di studio, ciò che emergeva tra una lezione e l’altra, d’altro canto, era una prospettiva particolare sulle pratiche, le forme, le stesse motivazioni del fare film. Un’idea di cinema libera e liberata, che fosse espressione di un punto di vista personale, al di là dei limiti delle strutture produttive e degli apparati tecnici. Secondo la linea del cinema d’autore, come ribadito a più riprese Edgar Reitz, quella che si andava affermando nelle nuove onde di tutto il mondo, contro le regole del linguaggio “istituzionale”. Ma, al tempo stesso, a imporsi era un’idea di realizzazione collettiva, di un’esperienza pratica che non poteva far a meno dell’apporto e del rapporto con l’altro. Del resto, anche negli incontri tra Reitz e le “studentesse”, il metodo era quello del confronto aperto. Cosa ancora evidente in Filmstunde_23. Non c’è il Maestro che predica la sua verità dall’alto, ma una guida che cerca il dialogo e si dispone all’ascolto, tentando di stimolare risposte e riflessioni, lasciando spazio all’emergere delle singole personalità. Una visione politica, certo, figlia di un’epoca particolare, il ’68, ma ancora capace di affermare la sua urgenza. Ma ancor più una visione umana, come ribadisce il vecchio Edgar Reitz nel suo discorso conclusivo sulla centralità delle persone e del per-sonare, il risuonare di una voce autentica attraverso le apparenze delle maschere.

È sul perno di questa convinzione che Filmstunde_23 si rivela come un magnifico film sull’età che avanza. Quasi un’altra Heimat, un racconto di esperienze individuali che si connettono alla storia di una collettività inseguita nello scorrere del tempo. Il corpo di Reitz, ormai esile e affaticato, e i volti delle donne sono messi a confronto con le vecchie immagini di un uomo nel pieno delle energie e di un gruppo di splendide adolescenti nel fiore degli anni. Tutto sembrerebbe raccontare la malinconia di una trasformazione e di una perdita inesorabili. Ma in verità non c’è mai amarezza, tristezza, men che meno rassegnazione. Ogni momento di Filmstunde_23 non fa che testimoniare la dolcezza del ricordo, la gioia di ritrovarsi nel presente, una disponibilità alla vita. Ma soprattutto la volontà di scoprire e difendere ciò che è in grado di persistere oltre il tempo che passa. Il segreto a cui si avvicina, più di ogni altra, questa cosa che chiamiamo cinema.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
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Il voto dei lettori
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