Frankenstein, di Bernard Rose

Trasformando Frankenstein in una favola dark, il regista di Candyman riporta l’horror alla sua domanda fondamentale, ovvero l’interrogarsi sulla competenza dell’umano

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A quasi duecento anni dalle prime stampe del celebre horror di Mary Shelley, il mostro gotico creato dal Dottor Frankeinstein non è mai stato così vitale. L’accavallarsi di film, serie tv e grandi produzioni teatrali che lo ritraggono in ogni veste disponibile dimostra come rimanga una presenza indelebile, un fantasma della modernità, e il film di Bernard Rose conferma queste sensazioni, fornendo uno degli adattamenti più fedeli al romanzo ottocentesco nonostante l’ambientazione contemporanea a Los Angeles.

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La coppia formata da Danny Houston e Carrie-Anne Moss nel segreto di un laboratorio sotterraneo dà alla luce la creatura perfetta, colei che rifiuta le leggi naturali per piegarsi alla volontà umana. Ma come da copione questa si ribella e fugge nel mondo esterno, dando inizio ad una serie di drammatici incidenti dovuti all’incapacità di collegare la sensazione al gesto. Infatti il mostro per Rose è definito esattamente da questa scissione tra cuore e corpo, tra spirito e meccanismo. La sua creatura è un illetterato flaneur che si muove per le strade assolate di Los Angeles cercando di definire il senso delle sue sensazioni,  il cui girovagare ripete i capitoli del referente letterario, dal cane alla bambina, dal cieco alla prostituta, che rappresentano appunto i passaggi chiave, ovviamente frustrati, del suo svelarsi al mondo.

xavier samuel carrie-ann moss frankensteinembra infatti che il mostro costruito sulla fisicità di Xavier Samuel sia l’ennesimo essere che diventa macchina di morte perché costretto dall’ ambiente circostante, una città degli angeli tanto splendente sulla superficie quanto oscura negli abissi. Però di Frankenstein colpisce sempre più l’inconsapevolezza dell’atto, sia del mostro sia dei suoi creatori. Entrambi, in un modo o nell’altro, rompono la sottile membrana che tiene insieme il rapporto tra tecnica ed etica, entrambi ne scoprono l’innato patetismo. Ed è qui che la riflessione di Shelley diventa improvvisamente contemporanea, quando ricircuita le ossessioni di un mondo che scopre un’idea di tecnica aldilà del bene e del male all’interno di un corpo sociale che dentro queste paure è appena ripiombato. Trasformando Frankenstein in una favola dark, il regista di Candyman riporta l’horror alla sua domanda fondamentale, ovvero l’interrogarsi sulla competenza dell’umano. Impossibile non pensare come la techné del dar vita ora non si misuri più in un azione contro natura ma bensì con la quotidianità della scelta etica e il film di Rose, sotto tutto il sangue e il gore di cui si ammanta, fa una scelta radicale, riconducendo il senso di esistenza non ad un imprinting uterino ma ad un ben più vitale rapporto con le proprie estensioni sensibili.

Titolo originale: id.

Regia: Bernard Rose

Interpreti: Xavier Samuel, Danny Huston, Carrie-Ann Moss, Tony Todd, Adam Nagaitis

Distribuzione: Barter Multimedia

Durata: 89′

Origine: Usa 2015

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