Free Chol Soo Lee, di Julie Ha e Eugene Yi

Un documentario convenzionale, ma emotivo, su un uomo innocente esaltato a simbolo dell’intera comunità asiatica negli USA. Dove la (in)Giustizia stigmatizza ancora l’immigrato come anomalia. Su Mubi

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San Francisco, 1973. Un immigrato coreano di nome Chol Soo Lee sta giocando con una pistola in un appartamento di Chinatown, quando gli parte improvvisamente un colpo. Lo sparo si disperde nel vuoto, nessuno resta ferito. Eppure cinque giorni dopo egli viene identificato come il colpevole di un omicidio avvenuto per le strade nel quartiere, per cui verrà immediatamente arrestato e condannato all’ergastolo. La pistola da cui è sparato il colpo incriminato è la stessa, ma lui non ne sa nulla. L’unica “colpa” di cui si è macchiato è quella di essere un asiatico in una terra straniera. Proprio come l’uomo che ha compiuto l’omicidio. Tanto basta alla società e al sistema che la rappresenta per condannare una vita innocente. Una realtà istituzionale di cui il documentario Free Chol Soo Lee vuole esporre le ingiustizie intestine, legandole ad una parabola di libertà. Al sogno di un uomo che ha ispirato un’intera generazione di attivisti asiatico-americani per la sola casualità con cui si è trovato a farsi carico di tutti gli abusi subiti dai suoi “pari”. Gettando così luce su un popolo fino a quel momento (in)visibile agli occhi della Giustizia.

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A dare vigore allo spirito critico del documentario è proprio l’ordinarietà del suo soggetto di riferimento. Nel carisma, come nell’integrità morale, Chol Soo Lee non emerge rispetto al comune immigrato di Chinatown. È un “signor nessuno”, che proprio sulla base della sua insignificanza giuridica diventa un simbolo di emancipazione per tutti coloro che lottano quotidianamente per sfidare le disuguaglianze di trattamento. E poco importa se la sua etnia coreana lo allontani dalla stragrande maggioranza degli immigrati cinesi o giapponesi di stanza a Chinatown. In quello stesso “orientalismo” che ne ha decretato a monte l’incarcerazione, risiede di fatto la possibilità di rivincita di un intero popolo. Di tutte quelle persone che per mezzo della loro autoctonia “esotica” hanno conosciuto sulla loro pelle le verità più oscure e avvilenti della (in)Giustizia americana degli anni ’70 e ’80. A cui Free Chol Soo Lee ribatte con forza, associando l’indagine delle sue inique ramificazioni alla storia, al volto e al corpo del suo omonimo (o meglio, anonimo) protagonista.

 

In questo senso al documentario interessa solamente che il racconto arrivi al pubblico, senza la mediazioni di artifici o virtuosismi formali a complicare la materia drammatica di fondo. Nel delineare l’attivazione politica di un’intera comunità attorno alla figura di un uomo vittimizzato dal sistema, Free Chol Soo Lee rifiuta così ogni orpello estetico o narrativo, in funzione di una chiarezza espositiva che privilegi la comunicazione del messaggio sociale sulla profondità di racconto. Al punto che lo sguardo sul revanscismo comunitario non passa né attraverso la sensibilità estetica dell’immagine (come in Human Flow) né tanto meno per la riflessione spazio-umanitaria in stile Wiseman. È la convenzionalità del formato, che muove le sue proprietà iconiche tra interviste interlocutorie e materiali di repertorio, a farsi veicolo per lo spettatore/cittadino di una storia semplice ed emotiva, che riafferma con fermezza il diritto umano alla cittadinanza. Dando vita ad un racconto socialmente impegnato che forse non esalterà per la sua singolarità estetica. Ma che con Verdetto finale, è già diventato cinema.

Titolo originale: id.
Regia: Julie Ha, Eugene Yi
Interpreti: Chol Soo Lee, Jeff Adachi, K.W. Lee, Ranko Yamada, Tony Serra
Distribuzione: MUBI
Durata: 86′
Origine: USA, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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