Fuga per la vittoria, di John Huston

Uno dei migliori esempi di cinema sportivo perché riesce a bilanciare la drammaticità della narrazione con la spettacolarità della sfida calcistica. Oggi alle 23.45 su Iris

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È il 1981. Un ragazzino di 13 anni entra in un cinema e assiste ad un film palpitante, in cui una partita di calcio si trasforma in lotta per la libertà. Di tutte quelle immagini che si susseguono una rimane fotografata nella mente. È il fermo immagine di una rovesciata spettacolare di Pelé. È un gesto al rallentatore prima che il collo del piede colpisca in pieno la palla e la insacchi nella rete. È una istantanea che blocca spazio e tempo e li consegna negli archivi della memoria.

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Fuga per la vittoria prende spunto da un fatto realmente accaduto nel 1942 a Kiev quando si sfidarono un gruppo di calciatori russi e ufficiali dell’aviazione tedesca: venne denominata la “partita della morte”. Il film è diviso nettamente in due parti: nella prima sono descritti i complotti e i tentativi di fuga di un gruppo di prigionieri alleati sul modello de La grande fuga di John Sturges. Tra questi è molto riuscita la contrapposizione tra il Capitano John Colby (Michael Caine) grande campione di calcio e il prigioniero canadese Robert Hatch (Sylvester Stallone) che è un po’ anarchico e fa confusione con il football americano. L’idea della partita di calcio come surrogato del conflitto viene al Maggiore Karl Von Steiner (Max Von Sydow) che nota negli allenamenti degli alleati personalità di spicco del mondo del football: c’è Luis Fernandez (Pelé), Terry Brady (Bobby Moore), Carlos Rey (Osvaldo Ardiles), Michel Fileu (Paul Van Himst) e tante altre glorie che hanno visto interrotta la loro carriera sportiva dall’irrompere del secondo conflitto mondiale.

John Huston porta il film sul versante epico esaltando la resistenza orgogliosa dei detenuti che vedono nella vittoria sportiva un viatico per la libertà. La figura del cattivo Von Steiner viene sfumata dalla lealtà nel suo rapporto con il capitano nemico Colby e da pensieri che vanno controcorrente rispetto a quelli del Terzo Reich (“e se al posto della guerra risolvessimo le questioni con una partita di calcio?”). Sylvester Stallone che viene dal successo mondiale di Rocky 1 e 2 (1976 e 1979) imposta il suo personaggio sul modello pugilistico e ripropone un duetto amoroso con la timida Renee (Carole Laure) che richiama somaticamente e caratterialmente il personaggio di Adriana (Talia Shire).

Nella seconda parte il film decolla raccontando i momenti decisivi della sfida calcistica: qui il modello è Quella sporca ultima meta (1974) di Robert Aldrich sia nella tecnica di ripresa sia nella risoluzione del climax. Scene al rallentatore, primi piani sui contrasti, controcampi eroici sul pubblico che prima urla “vittoria” e poi intona la Marsigliese, le violenze agonistiche da entrambe le parti, la famosa rovesciata di Pelè e il rigore decisivo. Tutto è costruito in un crescendo drammatico reso ancora più intenso dalla organizzazione di una fuga tra il primo e il secondo tempo della partita.

Il finale ricorda che sono i movimenti di massa a determinare i cambiamenti e che la Resistenza può essere efficace non per l’iniziativa di un gruppo di persone, ma dalla presa di coscienza di una intera popolazione. Non amato dal regista per i contrasti con la star del momento Sylvester Stallone, Fuga per la vittoria è in realtà uno dei migliori esempi di cinema sportivo perché riesce a bilanciare la narrazione con la spettacolarità della sfida calcistica. Il ragazzino di 13 anni esce dal cinema e sogna nella sua mente la rovesciata spettacolare cercando di riproporla nei campi di calcio. I suoi neuroni specchio hanno registrato il momento e ci sarà lo spazio e il tempo per ripetere quel gesto. Percepire è agire. Non siamo solo l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo, le parole che ascoltiamo, ma siamo soprattutto fatti delle immagini che vediamo.

 

Titolo originale: Escape to Victory
Regia: John Huston
Interpreti: Michael Caine, Sylvester Stallone, Max von Sydow, Pelé, Bobby Moore, Osvaldo Ardiles, Amidou, Werner Roth, Paul Van Himst, Carole Laure
Durata: 116′
Origine: USA, 1981
Genere: drammatico/sportivo

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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