Hopper. Una storia d’amore americana, di Paul Grabsky

Da oggi arriva al cinema il documentario evento sul pittore statunitense. Una storia d’amore raccontata con un interessante approccio che tenta un’inedita analisi critica del grande artista.

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L’arte di Edward Hopper sul grande schermo. Da oggi, per due giorni sbarca al cinema il film evento, diretto da Paul Grabsky, sul grande pittore statunitense.

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Principale esponente del realismo americano, Edward Hopper ha influenzato in maniera definitiva l’arte figurativa di metà Novecento attraverso il racconto di un paese, gli Stati Uniti d’America, inedito, fatto di solitudine e atmosfere stranianti.

Un’arte intrisa di introspezione quella di Edward Hopper, in grado di svelarci il silenzio, l’attesa e la malinconica assenza di emozioni nella solitudine dei suoi protagonisti erranti. Paul Grabsky decide di accogliere l’ambiziosa sfida di analizzare la storia e l’interiorità di un pittore che ha dato così tanto al cinema in fatto di ispirazione iconografica e tematiche trattate. Dal rapporto di reciproca influenza con Alfred Hitchcock, passando dall’immaginario on the road ripreso con grande forza dal cinema di Wim Wenders, fino ad arrivare alle atmosfere stranianti e malinconiche portate sul grande schermo da Aki Kaurismäki con le sue storie pregne di solitudine umana. Una certa cultura dell’immagine deve molto allo scarno quanto efficace impianto figurativo del pittore statunitense. A lui Paul Grabsky dedica un ritratto onesto e accurato, attraverso l’accesso inedito a diari di famiglia e alcune interviste a studiosi ed esperti.

Intanto, sul grande schermo, i dipinti di Hopper scorrono, uno dopo l’altro, portando avanti l’indagine del regista sull’effettiva essenza di un artista così enigmatico e difficile da interpretare pur nella sua assoluta popolarità. Forse, per capirci di più, è necessario “leggere” l’arte di Hopper attraverso le inesplorate coordinate dell’amore. Quello che il pittore aveva nei confronti di un certo tipo di America. Dalle strane geometrie architettoniche della cittadina portuale di Cape Cod alle atmosfere svuotate e isolate di una New York anni Trenta, intenta a risollevarsi (anche letteralmente con la costruzione di grattaceli come l’Empire State Building) dopo la tremenda crisi economica della Grande Depressione.

Ma l’amore più intenso dell’autore de “I nottambuli” è sicuramente quello per  Josephine Verstille Niviso: sua moglie, compagna di vita, collega, musa, modella, assistente. “Jo” sacrifica la sua carriera da pittrice per fare da manager ad Edward. Lo stimola ad abbandonare il lavoro da illustratore per dedicarsi alla pittura. Contribuisce, nella prima parte della sua carriera, ad affinare la sua tecnica ad acquarello e diventa la costante presenza femminile nei suoi dipinti. Hopper le cambia di volta in volta il viso, ma dietro a quelle donne solitarie, sedute di sera al bancone di una caffetteria o accovacciate nel letto, di prima di mattina, con lo sguardo rivolto alla finestra, c’è sempre Jo, unica e sola controparte di Edward, l’amore della sua vita e l’autentico specchio della sua anima.

Ecco che, in quelle misteriose, statiche rappresentazioni del quotidiano, in quell’apparente mistero insito nei quadri di Edward Hopper si nasconde l’inequivocabile volontà di ricerca sul proprio essere. D’altronde, a chi gli chiedeva cosa cercasse nei suoi dipinti, Hopper rispondeva: “Cerco me stesso”.

 

Titolo originale: Hopper – An American Love Story
Regia: Paul Grabsky
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 94′
Origine: UK, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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