Senso, di Luchino Visconti

Trionfo dell’estetica e della razionalità della forma, sancisce la definitiva uscita dal Neorealismo e inaugura la poetica della decadenza di Visconti.

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È il 1954. Già l’anno prima Rossellini, con Viaggio in Italia, aveva perpetrato il suo “tradimento” del neorealismo, registrando la crisi di una coppia borghese. Ora Luchino Visconti, un altro degli alfieri della stagione neorealista, con Senso sancisce la fine definitiva di quel momento esaltante del cinema italiano, con buona pace degli aristarchiani. Via il presente, si sceglie la strada del dramma in costume, non ci sono più personaggi popolari che lottano per ottenere qualcosa di meglio dalla vita, ma un militare austriaco e una contessa veneta che restano vittime delle loro passioni e delle loro viltà. Non si gira più per le strade, con mezzi di fortuna ed in bianco e nero, ma si punta sul rigido controllo formale dell’inquadratura, sull’uso pittorico del colore, sui richiami insistiti alla tradizione del melodramma e dell’opera verdiana. Senso rappresenta il definitivo trionfo dell’estetica, della razionalità della forma sulla sincerità dell’ispirazione. I personaggi, i loro slanci e affetti, i loro piccoli drammi personali vengono imbrigliati nel grande ordito della Storia, sono rinchiusi nell’opulenza visiva degli ambienti ricostruiti con precisione maniacale.

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Visconti porta così a compimento la sua duplice riflessione: un’interpretazione, d’ispirazione marxista si è detto, di un dato momento storico (le Guerre d’Indipendenza, con le loro contraddizioni e alterne vicende) e la descrizione, impietosa e partecipe al tempo stesso, di un amour fou tra due persone meschine e vili. E, aldilà degli scrupoli storiografici, è soprattutto la relazione tra Livia Serpieri e Franz Mahler che interessa al regista, che trova un accordo più immediato con la sua sensibilità ed ispirazione.

Visconti filma una nuova ossessione, una nuova passione distruttiva, dissemina il quadro di presagi di morte, registra il decadimento fisico e morale dei suoi protagonisti e di tutto un mondo, che trova il suo splendido correlativo oggettivo nella città di Venezia, nel suo lento e incessante deperimento. La Morte è già all’opera a Venezia. Da Senso in poi, essa non cesserà più di far soffiare il suo alito nero nei film di Visconti, che continuerà, con insistenza quasi morbosa, ad essere l’estremo cantore della decadenza.

Regia: Luchino Visconti
Interpreti: Alida Valli, Farley Granger, Massimo Girotti, Rina Morelli, Heinz Moog, Christian Marquand
Durata: 115′
Origine: Italia, 1954
Genere: mélo

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.67 (3 voti)
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