Il grande freddo, di Lawrence Kasdan

Una parte iniziale che continua ad essere impetuosa e che ha sempre lo stesso impatto emotivo in uno dei film generazionali che hanno segnato gli anni ’80. Stanotte, ore 00.25, Sky Cinema Drama.

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Si può morire e rinascere milioni di volte. Il cinema permette questa ripetizione all’infinito. Può resuscitarti, può farti vivere come un fantasma. Il grande freddo riesce in questi due miracoli. La resurrezione ogni volta è provoca la stessa scossa. Avviene durante la cerimonia funebre. Karen va verso l’organo della chiesa e inizia a suonare You Can’t Always Get What You Want. Lì inizia il vero ‘big chill’ del titolo. Il brano dei Rolling Stones si diffonde sulla terra e nel cielo. Uno dei funerali più vibranti di una propria memoria cinematografica. Ogni volta ha lo stesso, devastante, effetto. La seconda resurrezione è ancora più radicale. È quella di Alex, l’amico morto. Non si vede mai in nessun flashback perché le scene sono state tagliate nel montaggio. Ma è lui l’assoluto protagonista. Del suo corpo ci sono solo frammenti della vestizione e il polso con le cicatrici. Ma attraversa tutto Il grande freddo, guarda tutti i suoi sette amici e la sua giovanissima fidanzata dall’alto, lascia i segni della sua presenza in dialoghi ancora oggi carichi insieme di nostalgia e coinvolgente cinismo. “L’ultima volta che ho parlato con Alex litigammo” dice Meg a Nick mentre sono in macchina. E lui gli risponde: “Per quello probabilmente si è ucciso”. Ma ci sono anche i suoi oggetti come gli articoli di giornali conservati. E in quella casa si vede proprio lo spettro di Kevin Costner. Quei fantasmi che si vedono in quelle commistioni tra fantasy e noir degli anni ’40, genere che ha segnato il primo magnifico primo lungometraggio di Lawrence Kasdan, Brivido caldo. Sì,  proprio Kevin Costner doveva interpretare Alex. E anche se non lo si vede mai, in Il grande freddo ha il suo volto. E questa ipnosi troverà conferma in un altro grandioso film generazionale dell’anno successivo, Fandango di Kevin Reynolds.

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Un gruppo di ex-compagni di college si ritrova proprio in occasione della morte dell’amico che si è suicidato. Aveva un’intelligenza fuori dal comune, doveva fare grandi cose. Il mondo però per lui era troppo stretto. C’è chi è diventato una star televisiva (Tom Berenger), chi un giornalista dalla discutibile etica professionale (Jeff Goldblum), chi cerca di diventare madre finché ne ha la possibilità (Mary Kay Place), chi sembra avere la famiglia ideale ma non è felice (JoBeth Williams), chi è stato segnato dall’esperienza in Vietnam (William Hurt). Tra loro c’è anche la giovanissima ragazza del defunto degli ultimi mesi (Meg Tilly). Sono tutti ospitati dalla coppia formata da un industriale di successo (Kevin Kline) e dalla moglie Sarah (Glenn Close) che sembrano i più stabili anche se il loro rapporto è stato comunque condizionato dalla relazione che la donna ha avuto con Alex.

Tutta la parte iniziale di Il grande freddo, a partire dello sguardo di Sarah verso il marito che poi esplode sulle note di I Heard It Through the Grapevine di Marvin Gaye, è tuttora impetuosa. Poi il ritrovo nella casa del gruppo di amici è invece un modello di come si scrive un film e dovrebbe sempre essere insegnato nelle scuole di sceneggiatura. Si, ci sono delle somiglianze con un altro gran bel film di John Sayles di quattro anni prima, The Return of the Seacaucus 7 che mostrava le crisi esistenziali, sentimentali e professionali di un gruppo di ex-sessantottini. E allora?

La casa è il riparo, proprio oggi in tempi di Coronavirus. Ma non perché fuori c’è il contagio. Ma perché si è ‘tutti soli’ come afferma Nick. Il suo ritmo è scandito anche in tre atti irregolari dagli occhi di Glenn Close, l’unica tra i protagonisti ad aver avuto la nomination all’Oscar assieme a quella per il miglior film e la regia. Il primo anticipa i titoli di testa. Lei guarda il marito dopo aver risposto al telefono: Alex si è suicidato. Il secondo illumina poi il suo volto che accenna un leggero sorriso dopo che in chiesa è partita la canzone dei Rolling Stones. Il terzo è verso la fine. Guarda di nuovo verso il marito nel momento in cui pensa che può essere lui a permettere a Meg di restare incinta.

Poi i dettagli. Ogni inquadratura racconta già da sola una storia: il braccio di Alex, lo specchietto della Porsche, i fari delle auto che si accendono. E poi il corteo delle auto che ha la riverenza di un solenne inchino. Il grande freddo è stato, e resta, un film epocale, di uno dei più grandi cineasti statunitensi dagli anni ’80 che ha lanciato Tom Berenger, Kevin Kline, William Hurt, Glenn Close, Jeff Goldblum, e si, anche Kevin Costner. E che, rispetto agli anni ’60, trova per i protagonisti il modo per salvaguardare la memoria e le emozioni attraverso una telecamera con cui Nick fa interviste quasi terapeutiche. La terapia di gruppo prima di quella più debole e convenzionale, di Robert Altman del 1987. In questa non ci sono filtri. E tutti i segreti nascosti vengono a galla. Ancora come in un torbido noir.

 

Titolo originale: The Big Chill
Regia: Lawrence Kasdan
Interpreti: Kevin Kline, Glenn Close, William Hurt, Tom Berenger, Jeff Goldblum, Mary Kay Place, JoBeth Williams, Meg Tilly, Don Galloway, Kevin Costner
Durata: 103′
Origine: USA, 1983
Genere: drammatico

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.88 (8 voti)
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