Judas and the Black Messiah, di Shaka King

Potentissimo film che mescola impegno civile e cinema di genere, confermando il momento d’oro del black cinema a Hollywood. Candidato a sei premi Oscar

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In Black Panther, il film Marvel che ha cambiato la storia di Hollywood e del black cinema, abbiamo un supereroe, T’Challa, erede naturale al trono di Wakanda, che deve vedersela con Killmonger, un sovranista della blackness. Alla fine riesce a sconfiggerlo ma la sensazione è che Killmonger, il cugino cresciuto in America, sia l’incarnazione di uno spirito black rivoluzionario ed estremista complesso e mai sopito. Come scrivemmo nella long story pubblicata nel numero 2 di Sentieri selvaggi 21st, il film di Ryan Coogler tratta una dialettica tutta interna alla comunità nera. Se T’Challa/Black Panther rappresenta la figura moderata (l’eroe brandizzato) che deve preservare l’ordine, Killmongen è il rivoluzionario incendiario che va dritto allo scontro e nega ogni compromesso. Da un punto di vista storico-politico è lecito indicare Killmongen come il vero black panther del film. Un personaggio che probabilmente sarebbe piaciuto a Malcolm X e Fred Hampton, la cui storia viene raccontata in questo Judas and the Black Messiah, potente opera seconda del newyorkese Shaka King. Il film, candidato a sei Academy Award, conferma la grande stagione del black cinema nella Hollywood contemporanea e rimette in gioco, nell’antagonismo tra i suoi due protagonisti neri Hampton (un grande Daniel Kaluuya) e Bill O’Neill (Lakeith Stanfield, monumentale), quasi lo stesso conflitto del film di Coogler, che di Judas non a caso è uno dei produttori.

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“Non combatteremo il capitalismo bianco con il capitalismo nero, combatteremo il capitalismo con il socialismo” dice il presidente del Black Panther Party dell’Illinois Fred Hampton nelle immagini iniziali che mescolano repertorio con scene ricostruite. Siamo nel 1968 e il giovane militante incarna l’ala più a sinistra del movimento, quella più insidiosa per l’establishment. Nella sua testa c’è un’ambiziosa alleanza interrazziale tra minoranze proletarie contro il sindaco di Chicago Daley e l’intero Sistema americano. L’’FBI infila nel suo gruppo l’infiltrato William O’Neill, un ladro che a inizio film usa cappello, abito alla Humphrey Bogart e soprattutto un distintivo falso per rubare macchine ai “fratelli”. “Chi vuoi essere?” gli chiede il bianco agente federale dopo il suo arresto. E lui dice di non saperlo, ma ovviamente vuole essere un borghese, un individualista (quei ghigni isterici e tragici di Stanfield quando mente ai suoi compagni!), un nero dilaniato dai sensi di colpa ma alla fine pronto a vendere la Causa rivoluzionaria per 200.000 dollari e aprirsi un’attività. Insomma O’Neill è un capitalista. Ossessionato dal benessere e dallo status quo (il badge come marchio di riconoscimento) è il Giuda perfetto per tradire il Messia Nero.

Titolo e sotto-testo cattolico quindi, per un film però stilisticamente molto rigoroso e “laico”, che, come i black panther, tralascia la questione dei diritti civili per entrare nel pieno della dialettica hamptoniana capitalismo vs. socialismo. Il furore politico è tutto nella Storia ovviamente, quella del soggetto scritto dallo stesso regista con Will Berson, Kenny Lucas e Keith Lucas, e quella d’America, che emerge negli spezzoni documentaristici, nei ritagli di giornale, nei dialoghi e nei monologhi pubblici di Hampton. Poi però c’è un altro film, teso e avvincente, sui volti e sulle ambiguità dei personaggi, sulle loro azioni. Ed ecco che Judas and the Black Messiah diventa un poliziesco dentro la rivoluzione. Shaka King ama il cinema di Sidney Lumet e si vede. Spuntano così echi da Il principe della città, Serpico e più in generale di tanto cinema americano degli anni ’70 e gli anni ’80. C’è anche l’iperrealismo notturno metropolitano di Walter Hill, con i mitra, gli incontri tra gang, i sobborghi di Chicago, le sparatorie con la polizia. E Shaka King dimostra di saper gestire tutti i registri di un film che mescola l’impegno civile con il genere.

Dietro la sua confezione solida, il puntiglioso equilibrio tra forma e contenuto e la sua innegabile identità mainstream, Judas and the Black Messiah è certo una dichiarazione di forza, sia politica sia produttiva, verso l’industria cinematografica e il suo pubblico di riferimento. Ma gli va riconosciuta anche la capacità di cogliere in filigrana sfumature rilevanti su quei conflitti identitari interni all’immaginario e alla comunità afroamericani su cui molte opere recenti sembrano ruotare, dal già citato film della Marvel al recente One Night in Miami…: il successo personale e il movimentismo, la figura del profeta e il suo corrispettivo al negativo, il compromesso e la lotta a oltranza, le strategie di resistenza dentro e fuori il Sistema.

Titolo originale: id.
Regia: Shaka King
Interpreti: Daniel Kaluuya, Lakeith Stanfield, Dominique Fishback, Jesse Plemons
Durata: 115′
Origine: USA, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.93 (14 voti)
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