Justin Simien esordisce nel 2014 con Dear White People, piccolo indie eletto tra i manifesti dell’allora nascente Black Pride e certo, riattraversato dalla sua prospettiva questo La casa dei fantasmi, suo terzo film, potrebbe rappresentare benissimo una sorta di luogo simbolico in cui certo impegno perde la forza iniziale e si trasforma in maniera.

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La sua blackness pare pericolosamente ridotta a brand su cui ricostruire e rilanciare un franchise che la Disney aveva accantonato per quasi vent’anni. Ecco allora l’immancabile quota black nel cast, ben divisa tra Lakeith Stansfield e Tiffany Haddish ma ecco, soprattutto, il setup a New Orleans. La cittadina epicentro della Black Culture americana diventa infatti il teatro dell’avventura di Gabbie (Rosario Dawson) e Travis (Chase Dillon), madre e figlio che scoprono che la villa che hanno appena ereditato è infestata da centinaia di spettri e che uno di loro, il più sanguinario, sta cercando di conquistare il mondo dei vivi. Per combatterli, i due riuniranno una squadra formata da uno scienziato, una medium, un prete ed un docente di storia.

Al film manca lo sguardo antropologico su una black culture infestata dal genere, che si intravedeva anche solo nel precedente Bad Hair. La blackness, semmai, diviene un fatto di pura scrittura, che sopravvive nel modo in cui lo script gestisce lo spirito da caratterista della Haddish o in certe parentesi introspettive che pongono al centro il protagonista, classicissime, ma tutto sommato calorose. La sensazione di fondo, però, è che La casa dei fantasmi avrebbe potuto posizionarsi ovunque ed in nessun luogo specifico.

E, in realtà, al di là della rinuncia ad un sostrato culturale ricchissimo, si tratterebbe di una scelta straordinariamente contemporanea. Perché questa casa limbo persa nel tempo ha i contorni dell’universo liberamente (ri)assemblabile dello spazio digitale, apice di una rilettura della ghost story da una prospettiva tutta gamificata, tra portali da attraversare, intere sequenze fondate sul retry e sul game-over ed una dinamica di confronto con il fantasma che pare davvero un catalizzatore di riferimenti videoludici, da Ape Escape a Fatal Frame.

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Ma è tutto labilissimo, abbozzato, a tal punto che questo sguardo gamificato pare un punto di fuga, la lettura più accessibile di un film che, nei primi minuti, lasciava intendere un interesse non scontato per un discorso su fantasmi e visione che pareva quasi voler aggiornare alla contemporaneità motivi da precinema. Ma forse sarebbe stata un’occorrenza troppo complessa, teorica, da sostenere.

E allora ci si rifugia in uno spazio noto, sebbene la sensazione di fondo sia quella di un film che non riesce mai ad afferrare una linea chiara per organizzare il tono dei suoi discorsi. Così dapprima guarda ai mistery dalle venature comedy di stampo inglese ma poi non riesce a stare dietro a quell’umorismo raffinato; poi insegue le atmosfere delle ghost stories ma forse si prende troppo sul serio e rimane invischiato nei meccanismi di un’indagine troppo fitta, che pare quasi levare ossigeno alla narrazione. Simien regge evidentemente meglio il ritmo delle sequenze più dinamiche, le fughe, gli inseguimenti, l’irruzione del mare nell’appartamento del protagonista, i momenti, in sostanza, in cui può farsi scudo con la potenza di fuoco del budget ma anche con un linguaggio riconoscibile, forse troppo, a tal punto che anche parentesi del genere finiscono bloccate in una griglia di riferimenti relativamente stantia.

La sensazione è che, sulla lunga distanza, il film si accontenti troppo facilmente di ciò che rimane in superficie e abbia perso la voglia di costruire, di esplorare, uno spazio narrativo dall’immenso potenziale.

Lo racconta forse già bene la gestione degli spettri che abitano la casa infestata, elementi centrali della narrazione, di per sé crogiuolo di caratterizzazioni ma anche di stili, di linguaggi attraverso cui far deviare il racconto pressoché infiniti ma su cui il film torna solo nei minuti finali. Ma il passo indeciso de La casa dei fantasmi lo conferma soprattutto la stranissima scrittura del flashback risolutivo del mistero, davvero un film dentro un altro film, una sequenza che forse avrebbe potuto far avvicinare davvero il racconto a quelle atmosfere cupe così tanto cercate risolta tuttavia pigramente in un paio di inquadrature.

Così non stupisce poi troppo se, come capita spesso, alla lunga il film si riduca ad un veloce, insapore epilogo che, annaspando, prova a chiudere le decine di discorsi aperti fino a quel momento. Ma la maggior parte di essi rimane su carta, solo abbozzata, come, a ben vedere, la voce del regista, sempre più flebile a ogni minuto che passa.

Titolo originale: Haunted Mansion
Regia: Justin Simien
Interpreti: Lakeith Stanfield, Rosario Dawson, Owen Wilson, Danny DeVito, Jamie Lee Curtis, Tiffany Haddish, Jared Leto, Chase Dillon
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Durata: 122′
Origine: USA, 2023

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