La poesia visse, la poesia vive, la poesia vivrà – Pierpaolo Capovilla legge Majakoskiji

Il 17 Luglio siamo stati al Parco Tiburtino di Roma a vedere la lettura scenica che il cantante Pierpaolo Capovilla ha fatto dei versi del poeta Vladimir Vladimirovič Majakovskij. Ecco come è andata

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Compagni e compagne“. Un saluto che se non secolare archeologia rivela quantomeno la sua origine novecentesca, con quel femminile ancora pigramente posposto al maschile e retaggio di pratiche comunicative di cui non s’avvertiva anche nelle menti più lucide la prevaricazione di genere. Una prassi antica che prelude ad un’altra forma di rito, quella del reading in questo caso, compiuto forse nel fantasma sociale/geografico più caratterizzante la vita aggregativa degli individui politici ancora oggi: la festa di partito. Il 17 Luglio siamo andati infatti alla Festa Comunista che il Circolo Arci Concetto Marchesi ha organizzato anche quest’anno per auto-finanziarsi e far conoscere i propri progetti a nuovi e vecchi tesserati. All’interno della settimana di eventi, la sera di Domenica Pierpaolo Capovilla – che nella nostra dimensione non avrebbe bisogno di presentazioni ma che facciamo perché oramai consci dell’esistenza del Multiverso – cantante e frontman attualmente con I Cattivi Maestri adesso e prima de Il Teatro degli orrori, si è concesso con la solita grazia rabbiosa ed il solito impegno furioso per una “lettura scenica” dei versi del poeta probabilmente più rappresentativo di tutte le rivoluzioni di sinistra: Vladimir Vladimirovič Majakovskij.

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Seduti in scomode sedie di plastica bianca (sembrava davvero di essere fermi a cinquant’anni fa: come se il tema ecologista non fosse ancora entrato nell’agenda comunista mancavano i cestini per la raccolta differenziata ed i giovani volontari giravano in maniera indefessa e fin troppo marziale dando del Lei a chiunque avessi più di vent’anni), abbiamo assistito alla generosa performance di Capovilla che da un decennio porta questa lettura nei circoli Arci della penisola dopo averne fatto già un reading musicale in due atti uscito financo in Dvd. Sulla necessità dell’ascoltare oggi, in un parchetto affollato di bandiere con falce e martello e persone che tornano ad unirsi parlottando di temi sociali tra una salsiccia ed una birra, le parole di Majakovskij ci rifacciamo ad uno dei suoi lettori più affezionati ed acuti, il semiologo Roman Jakobson che nel saggio – il titolo è già una saetta programmatica – “Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Il problema Majakovskij” ha dato forma verbale a questa inquieta ma ineludibile necessità: “Ci siamo gettati con troppa foga e avidità verso il futuro perché ci potesse restare un passato. S’è spezzato il legame coi tempi. Abbiamo vissuto troppo del futuro, pensato troppo ad esso, in esso troppo creduto, e per noi non c’è un’attualità autosufficiente: abbiamo perso il senso del presente. Siamo i testimoni e i compartecipi di grandi cataclismi sociali, scientifici e d’altri ancora. La vita quotidiana è rimasta indietro. Secondo una splendida iperbole del primo Majakovskij, «l’altra gamba corre ancora nella vita accanto»”. Ed è proprio con questo arto rimasto indietro, in un terreno esistenziale che qui sembra riaffiorare come se semplicemente non se ne fosse mai andato, che Pierpaolo Capovilla in questa caldissima notte di Luglio ha letto per la sua e nostra ennesima volta gli altrettanto bollenti stralci del poeta russo morto suicida ad appena 37 anni. “In questa vita non è difficile morire – Vivere è di gran lunga più difficile” – scrisse Majakovskij nella poesia dedicata a Sergéj Esénin, altra anima artistica in pena che uscì dal mondo in piena e libera autonomia e che Capovilla cita a metà della lettura scenica prendendo per la prima volta la parola dove 20 minuti di dolente e barricadero lirismo. Dietro all’apparente semplicità di questo verso, un capovolgimento di senso rinforzato dalla colloquiale ripetizione della parola difficile, sta un po’ della facilità della ricezione che solo i grandi della letteratura possono avere e che qui abbiamo ancora una volta esperito. Capovilla recita infatti anche le parti più scopertamente romantiche della fluviale produzione dell’artista russo, dovute quasi tutte alla turbolenta relazione con la scrittrice Lilja Jur’evna Brik, – il cui triangolo amoroso col marito della giovane donna è raccontato magnificamente QUI – con tale trasporto tanto da far emozionare i due ragazzi seduti accanto a noi, uniti nel sospiro estatico di fronte a tanta empatico sentimento. A noi invece, che solo per semplice fortuna siamo sopravvissuti a tutte le nostre giovani icone ribelli e adesso guardiamo a quelle vecchie pacificate, hanno esaltato più gli spregi a Mussolini che il leader de I cattivi maestri ha manifestamente espresso all’inarrivabile maniera di Carmelo Bene: “Genitori di Mussolini/non sforzatevi di criticarmi!/Non gli somiglia?/La copia più esatta/è la sua politica./Mussolini/ha un orribile/aspetto./Nude le estremità,/nera la camicia,/sulle braccia/e sulle gambe/migliaia/di peli/a ciuffi./Le braccia/arrivano ai calcagni/e scopano per terra./Nell’insieme/Mussolini/ha l’aspetto di scimpanzé/Non ha faccia:/al suo posto/ha un enorme/marchio da brigante“.

Ma il momento clou di questa lettura scenica è stato l’urlo belluino con cui lo slogan – quando il futurismo era davvero segno dei tempi veloci e non solo megafono di potere – “Lenin visse, Lenin vive e Lenin vivrà” ha per un attimo travalicato il Parco Tiburtino e, ci illudiamo, con la potenza rivoluzionaria di cui è stato capace Vladimir Vladimirovič Majakovskij, ha garrito in tutta l’Urbe sonnecchiante. Il reading di Pierpaolo Capovilla, accolto con fin troppo reverenza da un pubblico probabilmente ancora attonito per questa partecipazione collettiva ad una lettura poetica, per circa un’ora ha ricordato che la necessità della lotta per gli ultimi della terra deve passare per la poesia: “muori, mio verso, muori come un gregario“. Anche le parole devono allora scendere in campo come soldati quando c’è da vincere la dittatura del capitalismo perché “questo è il primo giorno del diluvio operaio“. In un’epoca in cui il linguaggio si è militarizzato per connivenza col Potere – il terrorismo, il Covid e i putiniani trattati sempre come nemici esterni da abbattere – Pierpaolo Capovilla e Majakoskiji ci hanno illuso per una sola sera che la battaglia per “la grande eresia socialista” sia dolorosissima ma l’unica ancora possibile

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