La programmazione di Fuori Orario dal 26 maggio all’1 giugno

L’Italia del boom anni ’50 e due serate dedicate a Roger Corman con Coppola, Assayas, Carpenter, Wise e Ruiz-Sarmiento. Da stanotte.

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Domenica 26 maggio dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

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di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

A CAVALLO DEI ’50 – nel boom dipinto di boom (10)

a cura di Paolo Luciani 

Per alcune notti di Fuori Orario presentiamo coppie di film che siano in grado di documentare i cambiamenti in atto nella società italiana tra il 1948 (anno della sconfitta elettorale delle sinistre) e tutti gli anni ’50, caratterizzati dal centrismo democristiano, ma, anche e soprattutto, da una ricostruzione post-bellica accelerata che conduce al boom economico ed al suo rapido sfiorirsi.

Sono gli anni in cui si stratifica la realtà italiana, quella di “un paese mancato”; non basteranno le lotte sindacali e sociali del decennio successivo, insieme al raggiungimento di poche, ma importanti riforme sui diritti di tutti, ad allineare il paese su standard di modernità, ancora oggi irraggiungibili.

Cinematograficamente siamo tra la crisi del neorealismo e l’esordio di grandi personalità (Antonioni, Fellini) insieme al persistere e al mischiarsi di nuove figure professionali (attori, registi, sceneggiatori, quadri tecnici) con quelle ancora provenienti dalle esperienze del cinema del ventennio. Di fatto, dal dopoguerra alla metà dei ’50, prende forma “il pubblico cinematografico italiano”, costruito sul consumo di una produzione nazionale ancora molto diversificata. Resistono tutti i filoni ed i generi: il neorealismo popolare come quello rosa, il film d’avventura e il film opera, il cinema comico attoriale come quello d’autore. Ma abbiamo anche la nascita della commedia all’italiana e l’inizio del peplum, la presenza hollywoodiana a Cinecittà e quello che sarà il cinema dei grandi produttori italiani degli anni ’60, insieme a realtà come “il cinema napoletano”. Su tutto, poi, si stende una cappa censoria che non risparmia nulla. Le produzioni devono combattere contro l’invasione del prodotto hollywoodiano, facendo ancora ricorso a un mercato di esercizio che vede durare anni lo sfruttamento di un film, con stadi diversi di programmazione, in grado di raggiungere gli strati più profondi del paese: quello che farà la televisione, da lì a pochi anni.  Insieme al cinema e alla radio si affermano nuovi media, non solo la TV, ma la pubblicità, la stampa di partito, il fotoromanzo, le riviste di costume illustrate. Dopo il voto alle donne abbiamo una scolarizzazione finalmente di massa. Quella che viene chiamata una mutazione antropologica del paese si manifesta anche con i bisogni che moltiplicano le occasioni del nuovo consumismo, come di una normale, anche se caotica, evoluzione dei costumi. L’auto per tutti, le vacanze di massa, la moda e il nuovo divismo femminile, i concorsi e le manifestazioni, siano esse canore, di bellezza, letterarie, d’arte. Nella consapevolezza comune emergono e si differenziano economicamente e culturalmente composizioni diverse della società, con nuove problematiche anche esistenziali. Ed il nostro cinema è presente e dà conto di questi mutamenti, con alcune costanti che si possono far risalire alle radici profonde della nostra storia: amor di patria -spesso vissuto come a fare ammenda di non encomiabili responsabilità storiche più o meno recenti- una tendenza costante al tragico e al comico, dove far annacquare tendenze inespresse alla rivolta e alla consapevolezza di sé. Ma, soprattutto, la costante narrativa con cui il nostro cinema sembra fare i conti, è condizione familiare, meglio quella della donna, costretta e raccontata in un’emancipazione troppo lenta, sia essa madre, lavoratrice o “donna libera”.

UN ETTARO DI CIELO

(Italia, 1957  bianco e nero  durata 86’)

Regia: Aglauco Casadio

Con: Marcello Mastroianni, Rosanna Schiaffino, Silvio Bagolini, Carlo Pisacane. Polidor, Nino Vingelli, Ignazio Leone

Severino è un venditore ambulante che lavora per le fiere di paese, affabulatore ed un po’ furfante. Tra i suoi giri, torna a Migliarino, povero agglomerato nel delta del Po. Qui l’anno prima ha già conosciuto la bella Marina, ora commessa in una locanda. Ma soprattutto conosce tre poveri pensionati, che vivono stentatamente di lavoretti o pescando di frodo anguille… Ai tre Severino racconta una storia: è possibile comprarsi delle porzioni di cielo, ettari addirittura, con pochi soldi e con la possibilità di vivere di rendita, affittandoli, una volta defunti, agli aerei di passaggio…. i tre ci credono, mettono insieme un pò di soldi e decidono di accelerare il lieto fine, annegandosi nelle paludi… Severino capisce che la sua piccola e fantasiosa truffa può avere degli esiti tragici, disperato ed aiutato da Marina si mette alla ricerca dei tre….

Faentino, giornalista d’arte, poeta e letterato, Casadio collabora per anni alla rivista Prospettive di Curzio Malaparte, si avvicina al cinema come documentarista e co-sceneggiatore. Un ettaro di cielo fu un disastro negli incassi e ne determinò la sua sostanziale scomparsa dal cinema a lungometraggio.

“… non è raro per chi si occupa di cinema italiano imbattersi in film perduti, dimenticati, abbandonati ingiustamente al loro destino, all’oblio… stupisce semmai che un film completamente dimenticato abbia per protagonista Mastroianni, stupisce che alla voce sceneggiatura, oltre al nome del regista, si possano trovare quelli di Ennio Flaiano, Tonino Guerra ed Elio Petri…alla fotografia un direttore come Gianni Di Venanzo, stupisce che il produttore sia Franco Cristaldi, vero e proprio re Mida del cinema italiano. La domanda dunque è lecita: com’è possibile che un film prodotto da Cristaldi, interpretato da Mastroianni, scritto da tre dei nomi più rilevanti del cinema italiano, cosi intriso di fellinismo da avere anche Ninno Rota alla colonna sonora, sia stato così   del tutto   rimosso dall’immaginario collettivo? …per quanto il pubblico dell’epoca abbia voltato le spalle al film, che raggranellò meno di 70 milioni al botteghino – risultato tra i peggiori dell’intera carriera produttiva di  Cristaldi – UN ETTARO DI CIELO concentra l’attenzione su una zona periferica dell’Italia per mostrare il volto universale della provincia, vista come l’anima pura di una nazione tesa verso la modernità – si è all’inizio del boom economico. Il delta del Po, spazio liminare chiuso in se stesso quasi per antonomasia, diventa il simbolo di un’Italia proletaria che è alla ricerca disperata e un po’ sognante di un futuro che le è stato promesso, ma che non sembra mai arrivare…  Casadio, mostrando una notevole capacità di maneggiare una materia insidiosa come il grottesco, firma una commedia nera che con crudeltà sa raccontare le miserie di un paese uscito traumatizzato dalla guerra e alla mercè di chiunque sappia approfittarsi della sua ingenuità, ma allo stesso tempo dimostra di saper amare i propri personaggi, cercando di comprenderne l’anima e di trovarvi all’interno il meccanismo utile al disinnesco proprio della suddetta crudeltà. Se il ghigno sardonico che fa capolino di quando in quando fa intravvedere il contributo di Flaiano, e il delicato lirismo di alcune situazioni appartengono alla poetica di Guerra, lo sguardo sul sistema umano  e la sua quotidiana e naturale sfida al sistema del Capitale si tramuterà in uno dei tratti distintivi del cinema di Elio Petri. La satira, il paradosso, lo svolazzo poetico, la critica alla società: forse fu l’insieme di questi elementi a condannare UN ETTARO DI CIELO, relegandolo ben sotto il centesimo posto negli incassi dell’anno in Italia. Gli furono preferiti i ladri improvvisati di Monicelli   raccontati nei I SOLITI IGNOTI, – proprio per citare un’altra coeva produzione di Cristaldi -, altrettanto reietti come Severino, (e anche lì nel cast c‘è Mastroianni, come anche Carlo Pisacane), ma moderni, urbani, metropolitani. L’Italia entrava psicologicamente nel boom economico e le baracche a due passi dalla palude apparivano come un elemento del passato, elemento da rimuovere dal racconto collettivo. Ma i capanni sono ancora lì, nel 2022, ed è il boom ad essere un ricordo del passato, così sbiadito nella memoria da perdersi nelle brume della fantasia”

(Raffaele Meale QUINLAN 2022)

“E’ un film cui sono legato da affetto, come accade per i lavori che hanno avuto meno esito popolare …era una fiaba curiosa e mi piaceva moltissimo, era interessante, però forse poco credibile per un pubblico che è abituato a cose molto più tangibili, poco propenso a fatti fantastici”

(Claudio G. Fava e Matilde Hockhofer MARCELLO MASTROIANNI  Gremese Editore)

BALLERINA E BUON DIO

(Italia, 1958 bianco e nero  durata 94’)

Regia: Antonio Leonviola

Con: Vera Tschechowa (Cecova), Marietto Angeletti, Vittorio De Sica, Gabriele Ferzetti, Roberto Risso, Mario Carotenuto, Polidor, Pina Renzi, Erminio Spalla, Giacomo Furia

Marietto è un bambino orfano, vivace e dotato di grande fantasia… Decide di fuggire dal collegio dove è ospite dopo avere visto la foto di una meravigliosa ballerina d’Opera su una rivista, convintosi che possa sceglierla come madre…Ripreso, viene affidato alla famiglia di un pasticciere, ma combina una serie di guai fino a che, una coppia di acrobati non lo indirizza proprio al Teatro dell’Opera, dove si esibisce la ballerina che vuole e  crede sua madre…  il bambino viene inizialmente bene accolto dalla stupefatta ballerina, ma con il passare del tempo il loro rapporto non è dei più felici… Il lavoro della donna e le sue difficoltà sentimentali con un maestro di musica sembrano allontanarli per sempre… ma Marietto viene comunque sempre aiutato da un anziano angelo custode che assume le sembianze più diverse…

“… insolita commedia favolistica che Leonviola dirige alternando momenti fantastici  – come il sogno solarizzato all’inizio o la presenza di De Sia come buon Dio in quattro ruoli diversi: guardia, vigile, tassista, portaceste – ad altri decisamente più drammatici: il mondo infantile non è enfatizzato né edulcorato, ma anche quello degli adulti è raccontato con feroce ironia (la famiglia del pasticcere Carotenuto) o fredda antipatia (il maestro di musica interpretato da Ferzetti, la madre superiora di Pina Reni…). Un cartello alla fine che la vicenda è tratta da un fatto di cronaca” (Paolo Mereghetti)

 

Venerdì 31 maggio dalle 1.30  alle     06.00 (270’)            

DISCESA NEL MAELSTRÖM (DEDICATO A ROGER CORMAN) (1)

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto

TWIXT                                              PRIMA VISIONE TV

(USA, 2011, col., 85’04”, v.o. sott. italiani)

Regia: Francis Ford Coppola

Con: Val Kilmer, Bruce Dern Elle Fanning, Ben Chaplin, Alden Ehenreich, David Paymer, Joanne Whalley, Tom Waits

Hall Baltimore è uno scrittore sfortunato, specializzato in romanzi basati sulla caccia alle streghe. Durante la presentazione di un libro in una piccola città, viene avvicinato dallo sceriffo Bobby LaGrange, un eccentrico ammiratore, che gli chiede di leggere il suo ultimo lavoro e di accompagnarlo all’obitorio per vedere il cadavere di una recente vittima di omicidio, poiché Bobby ritiene che sarebbe un’ottima storia. Hall accetta con riluttanza e all’obitorio scopre che la persona è stata uccisa da un serial killer. Nel frattempo viene a conoscenza di un hotel locale che un tempo ospitava Edgar Allan Poe. Questo, insieme agli omicidi e ad altre stranezze della città, spingono Hall ad annunciare alla moglie Denise di voler scrivere un pezzo basato sulla città.

Dopo essersi addormentato, Hall si trova a vagare in una versione onirica della città, dove incontra V, una giovane ragazza di nome Virginia, soprannominata “Vampira”. Il mattino seguente Hall si sveglia e decide che vorrebbe collaborare con Bobby alla storia che gli ha proposto, incentrata sui vampiri. Ma Hall ha a che fare con un vero e proprio blocco dello scrittore, così decide di affidarsi ai suoi sogni per trovare ispirazione. Qui ha inizio il viaggio onirico di Twixt in cui Coppola esplora tecniche di ripresa 3D e mescola cinema letteratura e reminescenze autobiografiche.

“Il film è nato da un sogno che ho fatto – più che altro un incubo che sembrava avere l’immaginario di Hawthorne o Poe. Mentre lo stavo facendo mi sono reso conto che forse era un dono, perché avrei potuto farne una storia, forse un film horror. Poi un forte rumore all’esterno mi ha svegliato, e volevo tornare al sogno e trovare un finale, ma non riuscivo a riaddormentarmi, così ho registrato quello che ricordavo lì per lì sul mio telefono. Mi sono reso conto che si trattava di un’ambientazione gotico-romantica, quindi in realtà avrei potuto realizzarla in tutta la mia zona di residenza, invece di dover andare in un paese lontano. Mi sono reso conto che tutta la storia era situata in una foresta, come nei magnifici racconti di streghe di Nataniel Hawthorne. Avevo letto tutti i racconti di Poe e mi trovavo dunque nella tradizione del romanzo gotico, il che mi ha divertito pensando che in gioventù avevo lavorato con Roger Corman., che faceva esattamente questo genere di film. Ho lavorato intorno a  qualcosa che io e Poe condividiamo, cioè la perdita tragica di qualcuno. Sapevo che tutto il film avrebbe parlato della perdita. Il soggetto del film era la perdita” (Francis Ford Coppola)

IL TANGO DEL VEDOVO E IL SUO SPECCHIO DEFORMANTE

(El Tango del viudo y su espejo deformante, Cile, 1967/2020, col., b/n, 60’’, v.o. sott.it.)

Regia: Raúl Ruiz, Valeria Sarmiento

Con: Ruben Sotoconil, Sergio Hernández, Claudia Paz, Chamila Rodríguez, Luis Alarcón, Néstor Cantillana, Shenda Román, Gabriela Arancibia, Delfina Guzmán, Marcela Golzio, Luis Vilches, Gabriel Urzua

Primo lungometraggio, mai terminato, di Raúl Ruiz. Sono passati più di cinquant’anni. Nel 1973, il putsch militare lo costrinse all’esilio e le bobine del film furono ritrovate solo molto più tardi nascoste in un cinema. Valeria Sarmiento, regista e vedova di Ruiz, si è occupata di riportare in vita il film. Consulenti sordi l’hanno aiutata a ricostruire i dialoghi leggendo le labbra degli attori. La storia è incentrata sul signor Iriarte, la cui vita viene sconvolta dalla morte della moglie. La donna lo perseguita di notte, le sue parrucche si muovono sul parquet e alla fine anche il diavolo stesso fa la sua comparsa. Ma è a questo punto che il film si guarda allo specchio riavvolgendosi in una deformazione abissale.

“Raúl Ruiz continua a consegnare film dall’altro mondo. Ha buoni medium, tra i quali c’è anche la sua ex moglie. Tuttavia, il loro ultimo risultato è ancora più grande del precedente: portare sullo schermo il primo lungometraggio di Ruiz. Oggi il film appare quasi profetico, una meditazione sulla morte e sull’irreversibilità del tempo che segue senza mezzi termini la logica dei sogni per stabilire la sua narrazione. “Tu non esisti più”, dice un personaggio a un altro. La sua sfacciataggine poetica sta nel modo in cui le sue azioni disobbediscono alla continuità e, a metà film, iniziano a muoversi all’indietro come se venissero riavvolte, aggiungendo alcune nuove variazioni a ciò che abbiamo già visto e sentito. La trama? La moglie di un uomo muore (o viene uccisa) e l’uomo non riesce a dormire e pensa di togliersi la vita. Il resto del film è Ruiz allo stato puro e selvaggio: una parrucca vortica per la casa; i piedi di una donna appaiono sotto il letto; una cena, una visita a una libreria; un incontro con un amico – ma tutti questi eventi non sono mai del tutto tali. La libertà regna assoluta”. (Roger Koza per la Viennale)

IL GIARDINO DELLE STREGHE

(The Curse of the Cat People, USA, 1944, b/n, durata 67’)

Regia: Robert Wise, Gunther V. Fritc

Con: Simone Simon, Kent Smith, Jane Randolph, Ann Carter, Eve March, Julia Dean, Elizabeth Russell, Erfold Gage, Charles Bates, Joel Davies, Sarah Selby, Ginny Wren

Seguito di Cat People (il bacio dlela pantera) di Jacques Tourneur. La piccola Amy vive in un mondo tutto suo di immaginazione e fantasia, facendo preoccupare il padre Ollie e la madre Alice, seconda moglie dell’uomo, per i suoi strani comportamenti e la sua solitudine. Un giorno riceve in regalo da un’anziana e misteriosa signora un anello “magico”, grazie al quale riesce a evocare il fantasma di Irina, la prima moglie del padre, che diventa per lei l’amica del cuore che non ha mai avuto. Intanto Amy rafforza il rapporto con la signora dell’anello, un’ex attrice che vive con una donna severa e rancorosa che dice di essere sua figlia. Grazie a Irina, Amy trova finalmente la felicità, ma quando la donna fantasma decide di scomparire dalla sua vita, la bambina cerca in tutti i modi di ritrovarla.

 

Sabato 1 giugno dalle 2.05 alle 7.00

DISCESA NEL MAELSTRÖM (DEDICATO A ROGER CORMAN) (2)

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto 

PERSONAL SHOPPER                     PRIMA VISIONE TV

(Id., Francia/Germania/Repubblica Ceca/Belgio, 2016, col., dur., 101’, v.o. sott., it.)

Regia: Olivier Assayas

Con: Kristen Stewart, Lars Eidinger, Nora von Waldstatten, Anders Danielsen Lie

Presentato in Concorso al Festival di Cannes, vince il Premio per la Miglior Regia ex-aequo con Graduation di Cristian Mungiu

Maureen Cartwright fa la personal shopper a Parigi per Kyra Gellman, una top model. Maureen sta aspettando che suo fratello gemello Lewis, morto di recente per una malattia cardiaca genetica, rispetti il patto di inviare un segnale dall’aldilà. Pernotta a casa di Lewis nella speranza di ricevere un segnale e incontra per breve tempo una presenza spirituale che in poco tempo diventerà uno spettro femminile pauroso. Maureen inizia a ricevere messaggi di testo da un mittente sconosciuto. Il messaggero la incoraggia ad assecondare desideri proibiti, come indossare i vestiti di Kyra. L’enigmatico messaggero lascia a Maureen la chiave di una stanza d’albergo. Indossando uno degli abiti più nuovi di Kyra, Maureen si reca nella stanza e la trova vuota. Cerca di indagare sull’identità del messaggero informandosi alla reception, ma la stanza è stata pagata in contanti e prenotata a suo nome. A questo punto succede qualcosa di irreparabile. Maureen trova il cadavere nudo di Kyra sul pavimento del bagno. Fugge in moto verso la stazione di polizia, dove viene interrogata sulla sua sembrano muoversi verso un’altra dimensione. Mentre Maureen siede in giardino da sola, una figura spettrale appare in cucina con un bicchiere in mano. La figura scompare e il bicchiere levita brevemente prima di frantumarsi sul pavimento…

THE WARD  

(Id., Usa, 2010, col., dur., 85’’ v.o. sott., it.)

Regia: John Carpenter

Con: Amber Heard, Mamie Gummer, Danielle Panabaker, Laura-Leigh, Lyndy Fonseca, Jared Harris, Mika Boorem, Sydney Sweeney

Presentato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival, The Ward è, ad oggi, l’ultimo film diretto da uno dei cineasti più avanzati e influenti degli ultimi quarant’anni.

Kristen, una bella e problematica ragazza, si ritrova rinchiusa nel reparto di un ospedale psichiatrico

dopo avere incendiato una fattoria, coperta di lividi e tagli senza alcun ricordo degli eventi precedenti il suo ricovero. Nessuno riesce a fornirle risposte, e ben presto Kristen si rende conto che il reparto nasconde terrificanti segreti. Quando le altre ragazze iniziano a sparire una a una, Kristen cerca disperatamente un modo per fuggire, ritrovandosi più volte faccia a faccia con un essere misterioso e orripilante che la bracca apparentemente senza motivo.

“È stata una sfida, perché bisognava rendere ad ogni ripresa il set interessante, il che è difficile da fare. Era un set minuscolo, davvero, e c’erano solo poche stanze in cui si svolgevano le scene. Quindi, mi sono chiesto: “Come posso rendere tutto questo puramente visuale?”. (C. Radish, Director John Carpenter Talks The Ward and His Thoughts on Hollywoow Remaking His Films, Collider, June 2011)

CONVERSAZIONE CON FRANCIS FORD COPPOLA         

(Italia, 1992-2021, col., dur., 50’, v. o. sott., it.)

di Enrico  Ghezzi  e Ciro Giorgini

Un incontro con Francis Ford Coppola, a Roma nel 1992, a partire dal suo Dracula.

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