La programmazione di Fuori Orario dal 28 gennaio al 3 febbraio

Les carabiniers di Godard, prime tv per Pacifiction di Serra e Ibi di Segre. Poi Gianikian-Ricci Lucchi, Straub, Rohmer, Calogero e Sembene

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CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

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Domenica 28 gennaio dalle 2.30 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste 2023/2024

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

MATERIA E MEMORIA (2) Cuore di tenebra

 a cura di Roberto Turigliatto

 

LES CARABINIERS

(Id., Francia-Italia, b/n, 1963, 76’)

Regia: Jean-Luc Godard

Con: Marino Masé, Albert Juross, Geneviève Galéa, Catherine Ribeiro, Gérard Poirot

Ulysse e Michel-Ange ricevono una lettera del Re che chiede loro di andare in guerra. Partono con entusiasmo, attratti dai vantaggi che si presentano. Combattono e uccidono in ogni parte del mondo ma al ritorno avranno una “ricompensa reale” diversa da quella promessa. Una favola “brechtiana” che va oltre Brecht. Secondo Klaus Theweleit è “il miglior film di guerra che sia mai stato fatto. L’unico che mette in scena le categorie della guerra”, ovvero, secondo le parole dello scrittore Claude Ollier: “la rappresentazione de-drammatizzata della guerra, spogliata per una volta di tutti i suoi attributi gloriosi. Resta il furto, l’imbecillità, l’assassinio, la vergogna”.

Godard stesso si è richiamato a Brecht e nello stesso tempo ha rivendicato l’ascendenza rosselliniana del film, in riferimento soprattutto a La macchina ammazzacattivi e Dov’è la libertà?. Nel 1962 Rossellini aveva messo in scena  a teatro,  non senza scandalo,  la pièce antimilitarista di Beniamino Joppolo al Festival di Spoleto del 1962.   Alla prima di Spoleto assistono François Truffaut e Jean Gruault, allora collaboratore di Rossellini per Vanina Vanini.  Godard si dice interessato a farne un film, e Gruault registra al magnetofono una ventina di minuti in cui Rossellini racconta a distanza la pièce per Godard.  In questo consiste il ruolo di “sceneggiatore” di Rossellini. Nello stesso periodo Godard pensava anche a un adattamento cinematografico di Ubu Roi che poi non venne realizzato.

“Questo film è una favola, un apologo, dove il realismo serve soltanto a aiutare, a rafforzare l’immaginario. È per questo che l’azione e gli avvenimenti descritti possono essere situati dove si vuole, ovunque e insieme in nessun luogo (…) Analogamente i pochi personaggi non sono definiti né psicologicamente né moralmente e ancor meno sociologicamente. (…) Insomma, tutto, ambiente, personaggi, azioni, paesaggi, avventure, dialoghi, tutte queste cose non sono che idee e perciò verranno filmate nella maniera più semplice, e la macchina da presa sarà, per così dire, messa a nudo, in omaggio a Louis Lumière” (Jean-Luc Godard, 1962)

FRAMMENTI ELETTRICI N. 4 – ASIA
(Italia, 2005, col., dur., 32’)

Regia: Yervant Gianikian, Angela Ricci Lucchi

Con la serie “Frammenti elettrici”, co-prodotta da Fuori Orario, Gianikian e Ricci Lucchi esaminano “l’incontro con l’altro”. Nel numero 4 ripercorrono continenti e popolazioni attraverso film  di privati che viaggiano in Asia nei primi anni ‘70. Un lavoro per smontare le propagande folcloristiche dello “sviluppo” del turismo in paesi che subiscono devastazioni, guerre, massacri. 

FRAMMENTI ELETTRICI N. 5 – AFRICA
(Italia, 2005, col., dur., 29’46’’)
Regia: Yervant Gianikian, Angela Ricci Lucchi

Nei numeri 4 e 5 della serie “Frammenti elettrici” gli autori esaminano incontro con l’Altro. Gianikian e Ricci Lucchi ripercorrono continenti e popolazioni attraverso film di privati che viaggiano in Asia e Africa nei primi anni ‘70. Un lavoro per smontare le propagande folcloristiche dello “sviluppo” del turismo in paesi che subiscono devastazioni, guerre, massacri.

 

Venerdì 2 febbraio dalle 1.40 alle 6.00

MIGRARE, CAMBIAR DI VITA (2)

a cura di Lorenzo Esposito

IBI        PRIMA VISIONE TV

(Italia, 2017, col., dur. 64’)

Regia: Andrea Segre

Da un’idea di: Matteo Calore e Andrea Segre

Con le immagini di: Ibitocho Sehounbiatou

Con: Ibitocho Sehounbiatou, Salami Taiwo Olayiwola, Mimma D’Amico, Fabio Basile,Giampaolo Mosca, Gian Luca Castaldi, Prosper Doe

Presentato Fuori Concorso al Locarno Film Festival 2017

Ibi è nata in Benin nel 1960, ha avuto tre figli e nel 2000, in seguito a seri problemi economici, ha scelto di prendere un grande rischio per cercare di dare loro un futuro migliore. Li ha lasciati con sua madre e ha accettato di trasportare della droga dalla Nigeria all’Italia. Appena arrivata a Napoli è stata arrestata. Dopo quattro anni di carcere ottiene i domiciliari in un centro culturale di Castel Volturno dove impara a fotografare e a filmare. Rilasciata nel 2007, decide di restare in Italia in attesa dei documenti. Senza poter vedere la madre e i figli, per far capire loro la sua nuova vita Ibi decide di iniziare a filmarsi. Racconta se stessa, la sua casa a Castel Volturno dove vive con un nuovo compagno e l’Italia dove cerca di riavere dignità e speranza. Dalle immagini che Ibi ha realizzato è nato questo film.

SECONDA PRIMAVERA                                      

(Italia, 2016, col., dur., 103’)

Regia: Francesco Calogero

Con: Claudio Botosso, Desirée Noferini, Angelo Campolo, Anita Kavros, Nino Frassica, Hedy Krissane, Tiziana Lodato, Antonio Alveario, Gianluca Cesale

Presentato in anteprima mondiale al 26mo Trieste Film Festival. Riceve molti premi a livello internazionale (Gold Remi Award al 49mo WorldFest Huston; miglior film all’Hamilton Film Festival in Canada) 

Andrea è un architetto in crisi professionale e si vede costretto a vendere la sua villa al mare, attorniata da un incantevole giardino. Tra i potenziali acquirenti Andrea conosce l’anestesista quarantenne Rosanna, sposata con il più giovane Riccardo, che fa il commesso in un negozio di scarpe ma nutre ambizioni da scrittore. In un’imprevedibile notte di San Silvestro, Andrea presenta a Riccardo la studentessa Hikma, sorella minore di un cliente di origine maghrebina, a cui deve ristrutturare un attico. Passano i mesi, e Andrea apprende che Hikma è rimasta incinta di Riccardo, finendo per essere ripudiata dal fratello, musulmano osservante, mentre il ragazzo è stato a sua volta cacciato di casa dalla moglie e ha perso il lavoro. Andrea si risolve così ad aiutare i due giovani, ospitandoli nella sua villa. Una decisione dettata dal senso di colpa, ma, anche se Andrea non osa confessarlo apertamente, è evidente che Hikma gli ricorda in maniera impressionante la moglie Sofia, morta quattro anni prima proprio nel giardino della villa, in circostanze mai del tutto chiarite. Francesco Calogero inventa una conversazione hitchockiana che scorre in filigrana e dà una svolta inquieta e politica al tocco gentile che da sempre contraddistingue il suo lavoro.

LA NOIRE DE…             

(Senegal/Francia, 1966, b/n, dur. 57′, v. o. sott., it.)

Regia: Ousmane Sembène

Con: Mbissine Thérèse Diop, Anne-Marie Jelinek, Robert Fontaine, Momar Nar Sene

Con questo suo primo lungometraggio il grande cineasta senegalese Ousmane Sembéne vinse il Premio Jean Vigo per il miglior film.

Basato su un fatto realmente accaduto, il film racconta la storia della giovane donna senegalese Diouana che si trasferisce da Dakar, Senegal, ad Antibes, Francia, per lavorare per una coppia francese. In Francia, Diouana spera di continuare il suo precedente lavoro come tata e si aspetta un nuovo stile di vita cosmopolita. Tuttavia, al suo arrivo, Diouana sperimenta un trattamento duro da parte della coppia, che la costringe a lavorare come una serva (e che lei chiamerà fino alla fine Madame e Monsieur). Col passare dei giorni, Diouana diventa sempre più consapevole della sua situazione di costrizione e alienazione e comincia a mettere in discussione la sua vita in Francia. La struttura del film è fatta di continui flashback che mostrano la vita precedente di Diouana in Senegal. Il povero villaggio fuori Dakar da dove la ragazza proviene e dove, come la maggior parte dei suoi coetanei, vagava per la città in cerca di un lavoro. L’incontro con ‘Madame’ che inizialmente la sceglie per occuparsi dei suoi figli a Dakar e poi la porta in Francia. Diouana sogna una nuova vita ma il sogno si infrange velocemente. Politicamente il film mostra lo scarto chiudendosi in interni, mentre le scene in Senegal sono tutte all’aperto. Diouana comincia la sua ribellione. Non mangia, non lavora, rifiuta lo stipendio e, al culmine della lotta, si suicida tagliandosi la gola nella vasca da bagno della casa di famiglia. La maschera atroce del colonialismo è svelata.

“Considero il cinema un mezzo di azione politica. Ciononostante non voglio fare dei “film manifesto”. I film rivoluzionari sono un’altra cosa. In più, non sono così naif da pensare di poter cambiare la realtà senegalese con un singolo film. Ma penso che se ci fosse un gruppo di registi che realizzasse film con lo stesso orientamento, noi potremmo in piccola parte modificare lo stato di cose presenti.” (O. Sembéne)

 

Sabato 3 febbraio dalle 1.45 alle 7.00

MATERIA E MEMORIA (3) La linea d’ombra

PACIFICTION – UN MONDO SOMMERSO PRIMA VISIONE TV

(Pacifiction – Tourments sur les îles, Spagna-Francia-Germania-Portogallo, 2022, col., 163’, v.o. sott. it.)

Regia: Albert Serra

Con: Benoît Magimel, Patricia Manhagafanau, Marc Susini, Matahi Pambrun, Alexandre Mello, Montse Triola, Lluis Serra, Sergi Lopez

L’idea di partenza è venuta a Albert Serra dalla lettura del libro dell’attrice polinesiana Tarita Tériipia, terza moglie di Marlon Brando. Il film è stato girato a Tahiti nel periodo della pandemia, è stato in concorso a Cannes nel 2022, e successivamente ha vinto numerosi premi anche per il protagonista Benoit Magimel e il direttore della fotografia Artur Tort.  Per la rivista “Cahiers du Cinéma” è il miglior film del 2022.

Nell’isola di Tahiti, nella Polinesia francese, l’Alto Commissario De Roller, rappresentante dello Stato francese, svolge il suo ruolo ufficiale con maniere compiaciute e scrupolose, cercando di tenere sotto controllo la popolazione locale e i diversi interessi in gioco. Gestisce affari e relazioni politiche muovendosi in modo elegante e distaccato tra incontri, ricevimenti ufficiali, feste in discoteca, discussioni con attivisti locali. Ha i suoi informatori, come la ex receptionist e ora sua assistente, la transgender Shannah.  Su tutto incombe l’ombra di una manipolazione al servizio di potenze straniere e il sospetto di una ripresa degli esperimenti atomici francesi: di notte un sottomarino è stato avvistato.  La paranoia complottista, l’imminenza di una catastrofe indecifrabile, conferiscono al vagare senza direzione di De Roller un senso di   sospensione, di deriva senza fondo. Il locale “Paradise”, con i suoi personaggi eterogenei, indecifrabili e variopinti, è il luogo in cui sembrano incrociarsi tutti gli intrighi, tutte le “finzioni” brulicanti del film.

“L’Alto commissario non appartiene ad alcuna mitologia ma è tuttavia una specie di figura iconica. Il nome “De Roller” evoca diversi territori, l’Europa, la borghesia, il potere… E nello stesso tempo ha qualcosa di enigmatico. (…) In un certo senso nel film tutti i clichés vengono evitati, tranne i clichés visivi! Palme, onde, costumi locali, galli… Non manca nulla, come nei Gauguin dedicati a Tahiti. Ma quello che mi interessa è mettere insieme tutta  questa tavolozza per poi farla uscire dalla dimensione di cartolina statica, e di mescolare il lato lezioso con un altro, che si impone di per sé: quello del paradiso perduto e crepuscolare. Certo, con queste immagini, è molto facile esagerare e finire in eccessi barocchi. Ma mi sembrava interessante trovare un equilibrio per mettere insieme queste due idee – la cartolina piacevole, accogliente, e la nostalgia del paradiso perduto – perché Tahiti è prigioniera di un ‘ambiguità. Il dominio coloniale è ancora lì senza esserci; almeno, da quella prospettiva non si capisce se la Francia delle colonie faccia parte del presente o del passato. (…)  Oggi l’immaginario locale è colonizzato dall’America. Avevo in testa dei  thriller seventies come Perché un assassino o Chinatown.  Il cospirazionismo attuale ricorda il clima degli anni Settanta. La differenza è che in quell’epoca la paranoia era attenuata dal fatto di credere in qualcosa; si attaccava il potere in nome di un’utopia. Oggi non c’è più una controcultura che si oppone ai potenti. Perfino l’utopia borghese è morta! La paranoia contemporanea non è nemmeno triste: la tristezza sarebbe ancora una forma di umanesimo. Pacifiction descrive uno stadio in cui questo tipo di sentimenti non è più possibile, perché il concetto stesso di fine non ha più senso.  (…) Il mondo come vasto impero coloniale è molto ben definito. In effetti, come il neo-colonialismo che sperimentiamo nella realtà, il sistema disumanizzato che descrivo non affonda più per davvero: è preso in una caduta infinita, sprofonda ‘come in una spirale’ senza la prospettiva di toccare il fondo” (Albert Serra, intervista ai “Cahiers du Cinéma” n. 792, novembre 2022)

L’AQUARIUM ET LA NATION     

(Italia, 2015, col., dur., 31’, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Marie Straub

Con: Aimé Agnel

Per i primi sei minuti non c’è suono, il film è muto come un pesce, come a segnare la ricerca di un’empatia, di un rapporto orizzontale con quegli esseri costretti e silenti nella loro dimensione artificiale. La luce di Straub (e Huillet), che ci ha fatto sentire gli alberi e le pietre, dona una lingua finanche ai pesci, l’essere muto per eccellenza. Ma non sentiamo niente, c’è una quiete innaturale, come prima di una tempesta, di un’eclisse o di un terremoto. Il silenzio assorda, manca l’aria, Straub ci mette davanti allo specchio, ci mostra i vetri che ci separano l’un l’altro, l’estraneità e la solitudine. Nella seconda parte c’è un uomo in una stanza, non parla, legge un brano del libro di André Malraux, Les noyers de l’Altenburg. Fermo nella sua posizione, riflette alla luce delle credenze, dei miti e soprattutto sotto la molteplicità delle strutture mentali se “ha ancora senso la nozione di uomo”. Colui che si/ci interroga è Aimé Agnel, psicologo junghiano e scrittore di cinema, soprattutto per i Cahiers jungiens de Psychanalyse, dove ha pubblicato saggi sulle immagini “dall’inconscio” in Fellini, esterno/interno in Ford, sulla separazione tra suono e immagine in Sur quelques films vraiment sonores in cui affronta film di Bergman, Godard, Oliveira e Straub appunto.

AGENTE SPECIALE (TRIPLE AGENT)          

(Francia, 2004, col., dur., 111, v.o. sott. it,)

Regia: Eric Rohmer

Con: Katerina Didaskalou, Serge Renko, Cyrielle Clair

Nel 1936 il giovane generale russo emigrato Fiodor vive in esilio a Parigi. Lavora per un’associazione zarista di militari russi bianchi con Arsinoé, la moglie greca pittrice, che si tiene al di fuori della politica e del lavoro del marito. La coppia intrattiene anche dei rapporti di amicizia coi vicini di casa, una coppia di militanti comunisti. Fiodor segretamente sembra anche essere una spia che negozia alleanze misteriose con gli uni e con gli altri coltivando l’illusione di poter dominare il gioco dello spionaggio e di evitare tutte le trappole. Forse neppure lui sa più se sta servendo gli interessi dei Bianchi, di Stalin, di Hitler o dell’organizzazione militare e politica clandestina La Cagoule. Perfino Arsinoé comincia ad avere dei dubbi. Ma quando il superiore di Fiodor viene rapito da degli sconosciuti, è già troppo tardi… e anche Arsinoé verrà coinvolta in modo tragico e brutale nella storia segreta del marito.

Il gioco della verità e della menzogna, la trappola della seduzione e del disvelamento, lo scarto inevitabile tra la consapevolezza e l’illusione, che muovevano le trame dei  Racconti morali viene qui  travestito magistralmente in una storia di spionaggio che si svolge quasi interamente attraverso i dialoghi di una coppia.

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