L’amica geniale, di Saverio Costanzo, Alice Rohrwacher, Daniele Luchetti

Un racconto di emancipazione soprattutto sociale attraverso un’amicizia complessa nella notevole serie tratta dai quattro libri di Elena Ferrante, esplosiva soprattutto nella 3° stagione. Rai Play

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La tv italiana risorge con L’amica geniale, trasposizione di un mondo di impressioni e sensazioni che prima vivevano solo nei quattro libri della scrittrice sotto pseudonimo Elena Ferrante. Prende forma quel bisogno di una prospettiva femminile più complessa, non sempre facile da trovare nel cinema, tantomeno in televisione, in modo tanto nitido da non aver bisogno di “urlare” per far sentire la propria personalità. Il fulcro della serie di Saverio Costanzo è l’amicizia tra Lila e Lenù, all’interno del rione Luzzatti di Napoli – non un semplice sfondo, ma l’origine. Le due crescono insieme, sostenendosi per poter sopravvivere, non alla semplice miseria finanziaria, ma a quella mentale, nata da un luogo dove fin da subito si è instillato in loro un senso d’inadeguatezza. Ma quando solo a una viene concesso dai propri genitori di proseguire gli studi, le amiche sono costrette a separarsi, e non in senso fisico ma emotivo, portandole a coltivare sentimenti contrastanti che vanno dall’amore e la comprensione all’invidia e il rancore per ciò che non sono potute diventare e che non sanno di essere: una l’amica geniale dell’altra. Una formazione femminile mai vista, ambientata nel dopoguerra, raccontata, come prassi del Neorealismo italiano, dagli occhi degli ultimi, di chi non è mai stato il protagonista della propria vita; ruolo che Elena incarna perfettamente. Una confezione resa un po’ meno “sporca” e più dolce per merito  – o per colpa? – della voce narrante di Alba Rohrwacher, che traduce i pensieri più complessi di Elena, senza mai però renderli didascalici o invadenti, in una narrazione fatta perlopiù di sguardi, catturati da una regia che cambia pelle: dalle riprese claustrofobiche del rione di Saverio Costanzo a quelle più aperte della Rohrwacher nei momenti più felici fino a quelle statiche di Luchetti, che rispecchiano la vita di Lenù ormai diventata più quieta.

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Te ancora n’ha sai tutta la cattiveria der monno” dice Mamma Roma al figlio Ettore quando vengono inquadrati assieme per la prima volta nel film omonimo di Pasolini. Con una sola frase il regista mostrava già un punto di vista femminile importante, di una donna intrappolata in una condizione sociale di miseria che però mantiene la forza di urlare e inneggiare alla libertà per sé e per il figlio, cercando di salvarlo dalla stessa. Seppur abbia molti tratti in comune col primo cinema di Pasolini – miseria, squallore di periferia, sottoproletariato, la ricerca della vita borghese e il contrasto tra vecchio e nuovo – L’amica geniale, nel suo presentare un racconto in apparenza pulito, ci rivela un fatto più drammatico, perché dagli occhi di queste due bambine che invece la cattiveria del mondo la imparano a conoscere da subito; un mondo ove nessun genitore lotta apertamente per la libertà dei propri figli. Perché, e qui l’amica geniale sottolinea lo sbaglio (lo é?) di Mamma Roma: un figlio ignaro del male nella selva delle periferie anni ’60 non può sopravvivere. E Lenù, il cui nome intero è Elena Greco, e Lila, il cui nome è Raffaella Cerullo – le cui interpreti svolgono un lavoro eccelso nel dar vita alle loro sfaccettature interiori – dopo tutto il loro trascorso di “mazzate”, violenza, sopratutto quella psicologica ed emotiva, alla fine della terza stagione sono delle sopravvissute.

Un racconto di emancipazione soprattutto sociale, che avviene mediante un’amicizia complessa, segnata dal passato e dal contesto in cui le due protagoniste vivono, piena di contraddizioni, sogni e caratteri, dove dietro ogni decisione si nasconde una storia. Le due bambine, diventate donne, sono una lo specchio dell’altra; ciò che le separa è per Lila l’accesso alla conoscenza, privata dell’atto stesso di potersi emancipare; e l’eterna insoddisfazione di fondo per Lenù, che pur avendo accesso alla conoscenza e all’emancipazione, non sente mai di averli raggiunti.
E così arrivano le ideologie frantumate, il senso di sconfitta e di impotenza.Tutto quello che avevo in testa è finito sotto i piedi”.

C’è come una lente d’ingrandimento, dapprima mirata sulle due protagoniste, che si espande episodio dopo episodio, spostando il riflettore dalla loro amicizia e dalle tonalità grigiastre del rione per poi mostrare Napoli, Firenze, Pisa e includere tematiche più grandi, come la lotta femminista dell’Italia anni ’70, quella che é stata la seconda ondata, che diventa il fulcro della storia. Io ero la signora Airota, una donna intristita dalla quiescenza e che, tuttavia, per combattere l’avvilimento, s’era messa a studiare quasi in segreto l’invenzione della donna da parte degli uomini. Defoe – Flanders, Flaubert – Bovary, Tolstoj – Karenina. Scoprivo dappertutto automi di donna fabbricati da maschi; di nostro non c’era nulla, e quel poco che insorgeva diventava subito materia per la loro manifattura.” Quello dei maschi che fabbricano le femmine diventa così un pensiero centrale, nato dalla vita nel rione, in cui molto spesso veniva usato dagli uomini il termine “educare una donna” – ovvero zittirla, sottometterla. Elena e Lila lottano contro questa struttura di pensiero fin dal principio, infrangendo le regole sin da quand’erano bambine, sfidando e destabilizzando l’ambiente che le circonda.

Altro tratto ‘pasoliniano’ è il passato perpetuo, ciclico, che dall’inizio suggerisce una condanna inevitabile. Perché non ha importanza il dove si arriva, ma il come; perché anche dopo essersi fatta una vita lontana dal luogo di nascita, essere diventata colta e affermata, Lenù non si è mai realmente liberata del rione, che non é tanto un luogo, ma uno stato mentale e sociale – incisivo come la sua paura di vedersi zoppicare come la madre la porta a sentire veramente dolore al piede – e di quel senso perenne di disagio. Come sottolineato nella serie, Elena si rende conto di esistere solo nel momento in cui firma il suo primo articolo; è nella cultura che vede la sua salvezza, e forse ha ragione. Eppure neanche così riesce mai realmente a liberarsi del fantasma delle sue origini, rimanendo forse vittima di quella falsa promessa di un futuro di emancipazione lontano dal rione.

Regia: Saverio Costanzo, Alice Rohrwacher, Daniele Luchetti
Interpreti: Margherita Mazzucco, Gaia Girace, Alba Rohrwacher, Elisa Del Genio, Ludovica Nasti, Anna Rita Vitolo, Luca Gallone, Imma Villa, Antonio Milo, Alessio Gallo, Francesco Serpico, Giovanni Amura, Eduardo Scarpetta, Valentina Acca, Nunzia Schiano
Distribuzione: RaiPlay
Durata: 48-67′ (episodio)
Origine: Italia, USA, 2018-2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
3.29 (38 voti)
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