"Le avventure di Peter Pan", di Wilfred Jackson, Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Jack Kinney


La psicologia ha istituzionalizzato la teoria dell'eroe che non voleva crescere ma ha messo in secondo piano un altro dettaglio: Peter Pan è il primo testamento programmatico dell'attività disneyana. Neverland è un set in cui le regole del cinema d'avventura si ripetono continuamente e in cui l'accesso è condizionato da un atto di fede verso il potere ingannevole ed illusorio dell'immagine sullo schermo. Come il galeone che riporta il burbero adulto Agenore al tempo dei suoi giochi infantili…

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La sopraggiunta attenzione della psicologia ha limitato lo spazio di approfondimento su Peter Pan. L'eroe è diventato il simbolo di una sindrome che porta il suo nome: il rifiuto della crescita ha monopolizzato tutte le analisi fino ad imporsi come l'unico polo di interesse. E' un approccio parziale che esclude le sue implicazioni cinematografiche: Peter Pan è uno dei film più autoreferenziali e programmatici del repertorio disneyano. Le note produttive lo hanno consegnato alla storia come l'ultimo lungometraggio che venne realizzato con la totale collaborazione dei Nine Old Man: la squadra creativa che aveva permesso il miracolo tecnologico di Biancaneve e i sette nani e aveva fondato il cinema d'animazione avrebbe perso i suoi elementi fino a restare con l'unico testimone di Wolfgang Reitherman. E' certamente emblematico che questo necessario cambiamento sia avvenuto attraverso la storia di un personaggio che vive una patologica regressione infantile. La Disney aveva già venticinque anni di attività e il suo quattordicesimo titolo era anche il suo primo testamento.

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Neverland è un posto che esiste nella fantasia di chi ci crede ma è anche un set cinematografico. La sua geografia seleziona accuratamente le location: la nave dei pirati, lo scoglio delle sirene e il villaggio degli indiani sono i luoghi preferiti dei film d'avventura. Quando i bambini sperduti vengono catturati dai selvaggi di Toro in piedi confidano di essere liberati in nome della ritualità del copione: qualche volta vinciamo noi e qualche volta vincono loro… Lo stesso Peter Pan racconta sempre la stessa storia in cui ha dato la mano del rivale in pasto al coccodrillo e i suoi duelli con Capitan Uncino hanno una dinamica prevedibile che ha sempre lo stesso finale. Tutto quello che accade a Neverland segue alla lettera le regole del genere: il modello dell'eroe non è solo il romanzo di James Matthew Barrie ma sono soprattutto le imprese di Douglas Fairbanks e di Errol Flynn. L'isola può essere raggiunta solo attraverso un atto di fede e Wendy e i suoi due fratelli riescono a volare solo dopo aver pensato intensamente ai propri ricordi felici: think of Christmas, think of snow, think of sleigh bells off you go

Il film ha una sfumatura nostalgica che riassume una buona parte della filosofia disneyana: la fiducia in un sistema di valori che non ha contraddizioni e asseconda la semplicità fanciullesca. L'ingenuità può essere rifiutata oppure può essere rievocata continuamente attraverso la fiducia nel potere illusorio dei film. E' facile convincere i piccoli Gianni e Michele di questo inganno ma il vero obbiettivo di Peter Pan è il burbero genitore Agenore: l'adulto che ha dimenticato la meraviglia e che la ritrova solo quando vede un galeone che si allontana sullo schermo del cielo notturno di Londra. Il flashback emotivo che nasce da questa immagine e dalla ripetizione della stessa favola sarebbe diventato il sentiero dorato di tutto il cinema americano dei blockbuster. Walt Disney è stato il primo a pensare che l'arma più potente del cinema fosse quella di far tornare indietro il tempo dello spettatore


Titolo originale: Peter Pan
Regia: Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske
Interpeti (voci originali): Bobby Driscoll, Kathryn Beaumont, Hans Conried, Bill Thompson, Heather Angel
Origine: USA, 1953
Distribuzione: Walt Disney

Durata: 77’

 

 

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