Le comte de Monte-Cristo, di Delaporte e De La Patellière

Versione sfarzosa tra action e film in costume sentimentale, elegante ma incolore che si risolve in un innocua lettura del testo di Dumas con troppi cedimenti di ritmo. CANNES77. Fuori Concorso.

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È quello che resta del ‘cinéma de papa’? La nuova versione di Il Conte di Montecristo, dal celebre romanzo di Alexandre Dumas scritto con la collaborazione con Auguste Maquet che è stato pubblicato a puntate a partire dal 1844, potrebbe camminare sulle macerie di quel cinema tanto detestato da Truffaut che il cinema ha iniziato a portare sullo schermo dal 1922 con la star del muto John Gilbert. In realtà, dei diversi adattamenti del 1954 di Robert Vernay con Jean Marais dopo quello che lo stesso regista aveva realizzato nel 1943 e del 1961 di Claude Autant-Lara con Louis Jourdan resta solo lo scheletro narrativo. Il duo Delaporte e De La Patellière realizza una versione sfarzosa tra action e film in costume sentimentale. Riprende la tradizione francese del ‘cappa e spada’ e lo mescola con la saga di I pirati dei Caraibi soprattutto nella parte iniziale quando il protagonista salva la vita ad una giovane donna, Angèle. Da lì comincia il nuovo Le comte de Monte-Cristo, a Marsiglia nel 1815 quando Edmond Dantès viene arrestato il giorno del suo matrimonio con Mercedes per un reato che non ha commesso – è denunciato come cospiratore di Napoleone Bonaparte – e rinchiuso nel castello d’If. Lì conosce l’abate Faria (interpretato da Pierfrancesco Favino) che gli dà la forza di andare avanti e che gli tramanda la sua profonda conoscenza, dai testi classici alle diverse lingue. Dopo 14 anni riesce ad evadere e sull’isola di Monte-Cristo trova un tesoro nascosto seguendo le indicazioni proprio dell’abate. Diventato ricco e potente, mette in atto la sua vendetta nei confronti di chi lo ha tradito facendosi passare per diversi personaggi, tra cui il Conte di Montecristo.

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Delaporte e De Patellière sono attratti dal testo come se si trattasse di un gioiello luminoso che hanno però paura di toccare e sfiorano soltanto. I due cineasti, che avevano già preso le misure con il cinema d’avventura d’ambientazione storica scritta per le due recenti versioni di I tre moschettieri (D’Artagnan e Milady), realizzano un’elegante ma sbiadita versione del testo che regge fino al momento in cui Dantès finge di essere morto e viene portato fuori dalla prigionia come cadavere. In quel momento la tensione crescente è coinvolgente. E pur conoscendo la storia, c’è comunque lascia comunque il dubbio che il piano possa fallire da un momento all’altro. Le comte de Monte-Cristo però di dubbi ne lascia pochi, soprattutto nel momento in cui Dantès si ritrova faccia a faccia con i suoi nemici. Pierre Niney, nei panni del protagonista, fa vedere prevalentemente l’aspetto esteriore del suo personaggio ma si avverte solo sporadicamente quello che prova. Così come il suo piano di vendetta viene mostrato seguendo il testo ma è portanto sullo schermo in modo anche macchinoso, non mettendo adeguatamente a fuoco i suoi complici che avrebbero meritato un approfondimento più adeguato. Eppure il tempo a disposizione (quasi tre ore) al film non è mancato. Dal momento dell’evasione, Le Comte de Monte-Cristo ha diversi momenti di cedimento e spreca parzialmente il nuovo incontro tra Dantès e Mercedes dove la consueta bravura di Anaïs Demoustier non viene sfruttata quando invece il personaggio gli avrebbe dato tutte le possibilità per farlo. In più questa versione così pulita diventa incolore come nella battuta di caccia e nel finale dove la potenza drammatica è invece dispersa. Non c’è la sporcizia dell’irregolare adattamento di Reynolds con Jim Caviezel e Delsporte e De La Patellière arrivano a Dumas come estranei. L’identità nascosta era molto più efficace nel loro incrocio tra commedia e dramma di Il meglio deve ancora venire. In questo caso invece è una strada a vicolo cieco. Neanche più ‘cinéma de papa’. Una direzione poteva essere quella che porta a Besson e alla sua EuropaCorp. Per una spettacolarità accesa e non una buona lettura e niente più che dietro al genere fa vedere troppo poco.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.3
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