Les gens d’à côté, di André Téchiné

Il nuovo film del regista francese si presenta come uno scialbo dramma sull’elaborazione del lutto mascherato da cinema di impegno civile e sociale. Non si salva neanche Huppert. BERLINALE74. Panorama

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“Non ho altra famiglia oltre alla polizia”, spiega Lucie (Isabelle Huppert) al suo superiore. Dopo il suicidio del suo compagno Slimane, che come lei era un agente di polizia, e un periodo di ricovero in un ospedale psichiatrico, Lucie decide di tornare a lavoro nonostante i dubbi dei suoi colleghi; forse non del tutto infondati dato che la donna continua a vedere ogni notte il fantasma del compagno. È un’esistenza solitaria quella di Lucie, fino al giorno in cui incontra casualmente la piccola Rose, figlia dei suoi nuovi vicini Julia (Hafsia Herzi) e Yann (Nahuel Pérez Biscayart). Si crea immediatamente un bel rapporto e Lucie stabilisce un legame molto forte con Julia e Rose. Ben presto la donna scopre che Yann, oltre ad essere un artista, è un black bloc schierato totalmente contro le forze dell’ordine con qualche problema con la legge. Pur mentendo sul suo lavoro e cercando almeno all’inizio di ignorare le convinzioni dell’uomo, Lucie sarà costretta a fare delle scelte e a decidere se aiutare la sua “nuova famiglia” tradendo idealmente la sua divisa.

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Quarantacinque anni dopo Les sœurs Brontë, il regista francese André Téchiné collabora nuovamente con Isabelle Huppert per Les gens d’à côté, letteralmente “le persone della porta accanto”, in inglese tradotto in modo meno efficace come My New Friends. La storia raccontata da Téchiné ha tutte le buone intenzioni del caso, come mostrare che ogni idealismo ha lati positivi e negativi e non esiste solo il bianco e il nero, ma non riesce mai neanche per un istante a convincerci del risultato finale. Innanzitutto, nonostante la stima incondizionata nei confronti di Huppert, l’attrice non risulta mai credibile come poliziotta e ogni dinamica all’interno del commissariato appare assolutamente artificiosa. Le apparizioni notturne del compagno afrodiscendente defunto con la maglia di Barack Obama sono assolutamente incomprensibili e si fatica a capirne il senso. La prima parte del film si regge sul fatto che i vicini non sappiano nulla del lavoro di Lucie ma appare alquanto improbabile che non ne vengano a sapere nulla considerato il tempo trascorso insieme nella sua abitazione. Anche le discussioni tra i due coniugi ricordano fin troppo uno sceneggiato televisivo e persino nel momento in cui la tensione dovrebbe alzarsi non c’è alcun cambio di passo risultando ancora poco coinvolgente.

 

Si tratta perlopiù di problematiche dovute ad una scrittura approssimativa che non ha di certo aiutato gli attori a trasmettere l’autenticità necessaria per un film di questo genere. Le tematiche affrontate sono forti e tuttora davvero attuali nella Francia odierna, soprattutto il contrasto tra i due pensieri politici messi a confronto, da una parte la borghesia che si fa idealmente scudo con le forze dell’ordine e dall’altra gli antagonisti anticapitalisti che scendono in piazza in modo spesso violento per manifestare il proprio malcontento. L’idea di fondo c’era e si riesce a intravedere, ma manca uno sviluppo capace di dare profondità a questi personaggi e alle loro traiettorie narrative. Il finale, dopo solo ottanta minuti di film, non conclude in nessun modo la storia della protagonista ma riesce solo a lasciare l’amaro in bocca allo spettatore.

Les gens d’à côté si presenta come uno scialbo dramma sull’elaborazione del lutto mascherato da cinema di impegno civile e sociale.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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