Malarazza, di Giovanni Virgilio

Malarazza rimane agganciato a una trama di superficie espressa tramite stereotipi privi di sfumature; il regista non si fa aiutare dalla potenza dei luoghi e resta lontano dall’efficacia di Munzi

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Malarazza, poesia di un anonimo siciliano (cantata da Domenico Modugno nel 1976), raffigura un Gesù vendicativo che di fronte alle richieste di un servo maltrattato, lo esorta farsi giustizia da solo: pigghia nu bastoni e tira fori li denti.

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Nel quartiere di Librino a Catania vivono Rosaria (Stella Egitto) e Antonino (Antonino Frasca Spada), moglie e figlio del violento boss in declino Tommasino Malarazza (David Coco). La donna desidera un futuro diverso per il figlio quindicenne ma non è facile sfuggire alle dinamiche mafiose e Rosaria può contare solo su Franco (Paolo Briguglia), il fratello travestito che si prostituisce nel quartiere storico di San Berillo, ormai luogo di degradazione. Il regista catanese Giovanni Virgilio scrive (a quattro mani con Luca Arcidiacono) e dirige questa storia di malavita dall’inevitabile deriva tragica. La vita all’interno del quartiere di Librino non è facile, entrare nella spirale dell’ascesa malavitosa sembra un destino inesorabile in una periferia in abbandono che non offre altro.
Il professore di Antonino scrive sulla lavagna una frase tratta da Le città invisibili di Italo Calvino :“Ci sono frammenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono nascosti nelle città infelici”. La città di Catania e la sua anima dovrebbe essere quindi parte integrante dell’ambientazione tragica; la città specchio di chi la abita, con le sue mura e i suoi palazzi, muti e partecipi di fronte a tutto ciò che gli scorre davanti. Purtroppo in Malarazza – Una storia di periferia, non sentiamo la periferia del sottotitolo; ogni evento drammatico rimane strozzato a mezz’aria, penalizzato da una caratterizzazione dei boss e della vita malavitosa eccessivamente ancorata allo stereotipo, figlio di una dura verità ma privo di una qualsiasi sfumatura.

Guardando Malarazza il confronto con un film come Anime Nere risulta inevitabile, laddove l’epopea tragica della famiglia era simile ma molto più veritiera e disturbante. Un grande merito di Francesco Munzi era quello di rendere protagonisti i luoghi con estrema naturalezza e originalità: Milano fredda e complice, l’Aspromonte duro e impassibile di fronte a ogni evento.  D’altronde in alcuni casi la terra può essere una condanna.

E a volte anche per il cinema italiano essere incatenato ai luoghi è una condanna, ma per un certo tipo di racconti è inevitabile. Soprattutto in un Paese come questo la cui bellezza e antichità dei luoghi è spesso una maledizione, lanciata da una strega che seduce ogni storia. Giovanni Virgilio non si fa sedurre e rimane agganciato a una trama di superficie già sentita, senza farsi realmente aiutare dalla potenza del luogo, centrale per lui ma troppo distante per lo spettatore. E integrare con musica e canzoni neomelodiche non è abbastanza. Virgilio non riesce a riportare l’atmosfera territoriale ma accenna solamente a un ragionamento su quelle canzoni che rappresentano, per certi quartieri periferici del Sud, l’appartenenza alla terra in modo estremamente malinconico.

 

Regia: Giovanni Virgilio
Interpreti: Stella Egitto, Paolo Briguglia, Davide Coco, Antonino Frasca Spada, Cosimo Coltraro, Lucia Sardo
Distribuzione: Mariposa Cinematografica
Durata: 98′
Origine: Italia 2017

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