Malati di sesso, di Claudio Cicconetti

In sala l’esordio di Cicconetti, su sceneggiatura di Apolloni: una commedia leggera, sullo sfondo di una Roma altoborghese da spot, che tenta di sviscerare il blocco sentimentale del contemporaneo.

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Quando si tratta di sentimenti e drammi relazionali umani, è sempre un po’ dura per i mestieri dell’audiovisivo tradurre in immagini e parole verosimili qualcosa che – inequivocabilmente – sfugge a ogni controllo o forma di razionalità per sua natura. Eppure, il grande schermo è sempre riuscito a ergersi a spazio privilegiato dove riflettere l’elemento più intimamente umano, dove guardare in faccia una storia che diventa la storia di tutti, riconoscerla e identificarsi in essa sullo sfondo di una credenza. Potrebbe ben dirsi, tutto considerato, che il cinema non fa che parlare d’amore, ne è il solo racconto possibile.

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Malati di sesso, diretto dall’esordiente Claudio Cicconetti, si presenta dapprincipio come un ennesimo – leggero – tentativo di riflessione sul controverso tema dei rapporti, radicandolo nel contesto di una commedia tutta italiana che miri a decifrare il – vero – problema dei sentimenti nella società odierna. Ecco, allora, il protagonista Giacomo (Francesco Apolloni) vittima di un desiderio sessuale compulsivo che lo spinge, trascinato da un’inarrestabile fame d’amore, tra le braccia di centinaia di donne sempre diverse e, ogni volta, a innamorarsi futilmente di ciascuna di loro; lo segue a ruota Giovanna (Gaia Bermani Amaral), anch’essa caduta inesorabilmente nella rete delle avventure facili e indolore, consumate alla velocità di un bene usa e getta, senza che le venga richiesto impegno o coinvolgimento emotivo, finendo per cancellare la condizione stessa per la nascita di un rapporto “vecchio stampo”. Non è un caso che, quello che una volta avremmo definito primo incontro d’amore al cinema, si sia qui convertito in una sorta di seduta psicoanalitica decisamente gretta e fallimentare, dove “l’esperto” – un analista più in crisi dei pazienti stessi – finisce per abbandonare la nave a se stessa e i suoi pazienti alle rispettive problematiche sessuali e d’autostima.

La sceneggiatura, firmata dallo stesso Apolloni insieme a Manuela Jael Procaccia (divenuta poi caso editoriale), sembra essere decisamente al passo con i tempi, nel suo mettere assieme un intreccio di vizi, ansie, perturbamenti e paure in riflesso al comune smarrimento identitario del presente. Calati in un contesto romano altoborghese, artificioso e dall’aspetto quasi pubblicitario alla “grande bellezza”, i due protagonisti (e la simpatica coppia di migliori amici) vivranno una sfilza di episodi – forse troppi – fondamentalmente sempre statici, cotti e mangiati nell’immediato alla stregua delle loro relazioni prive di verità, forse con l’intento di conferire un po’ troppa massa al tutto.
Eppure, insieme a Giacomo e Giovanna (o Harry e Sally redivivi?), lo spettatore si troverà ad attraversare allegramente e on the road l’Italia – dalle montagne di Courmayeur fino ai bizzarri trulli-Ashram salentini – a tal punto da perdersi nel gioco di immagini dalla dubbia identità, con quell’impressione d’esser finiti all’improvviso in una gita a suon di tormentoni estivi o in uno spot pubblicitario per le migliori auto di lusso.
I sentimenti, allora, finiranno per celarsi dietro questa coltre patinata fino alla fine, riemergendo solo attraverso la redenzione artistica del protagonista e svelando, in fondo, il senso vero che muove l’arte e il cinema. L’amore è effimero, ricorda Giacomo. Ma il cinema, come un abbraccio, lo cattura per sempre.

 


Regia: Claudio Cicconetti

Interpreti: Francesco Apolloni, Gaia Bermani Amaral, Fabio Troiano, Elettra Capuano, Augusto Zucchi
Distribuzione: Light Industry
Durata: 90′
Origine: Italia, 2018

 

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