RIFF 2019 – Un uomo deve essere forte, di Elsi Perino e Ilaria Ciavattini

Il documentario a tematica LGBTQ+, presentato al RIFF 2019, affronta dal punto di vista psicologico e medico il percorso di trasformazione di Jessica in Jack, giovane trans coraggioso e determinato

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Il corpo in cui ci è capitato di nascere non determina la nostra essenza. E non è scontato che ciò che sentiamo di essere dentro di noi, nel profondo, corrisponda al nostro aspetto esteriore. Questa legge non scritta è valida per tutte le volte in cui si prova un senso di inadeguatezza, di vergogna, di fastidio, in special modo per chi sente di non appartenere al sesso femminile o maschile che ha ricevuto alla nascita. Questa è la vera storia, tra le tante, della trasformazione di Jessica in Jack.

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«Chi è Jack? Sono io, è la mia persona e tutto quello che ho affrontato, tutto il mio percorso fino a qua». 

Un bambino (o sarebbe meglio dire una bambina?) orfano di padre sin dalla tenera età, cresciuto dalla madre e dal fratello maggiore, suo esempio di rettitudine; un self-made man, nato femmina – ma solo nei connotati fisici – agente primario del proprio cambiamento radicale, affrontato con ferrea determinazione. Un giovane che ha dovuto fronteggiare molte difficoltà per poter affermare pienamente se stesso come individuo, che ha lottato per trasformare esteriormente ciò che da sempre sentiva dentro di sé. 

Alcune gravi perdite (dal padre, al nonno, alla prima amante e grande amica Anna, morta suicida poiché non a suo agio nel corpo femminile che la “intrappolava”) lo hanno portato a fortificarsi e a reagire potentemente alle disgrazie. Prima la decisione di tatuarsi un marchio indelebile, accanto alle immagini infantili e “confortevoli” dei cartoni animati: «And I’d give up forever to touch you, ‘cause I know that you feel me somehow», un verso della canzone Iris dei Goo Goo Dolls, dedicato proprio ad Anna. Poi la presa di posizione definitiva e la messa in atto di una consapevolezza precoce, la necessità di diventare uomo in tutto e per tutto. Poiché proprio di questo si tratta: non di un capriccio, ma di un sentimento che non può essere ignorato per sempre, di un’esigenza che prima o poi va soddisfatta. Il suo percorso di trasformazione, alla ricerca di una nuova identità, è personale, anche se assume una valenza universale, poiché risponde al quesito più antico: «Chi sono io?». Al tempo stesso, è un processo di formazione di cui il protagonista si ritiene totalmente consapevole.

«Un uomo è tante cose. Per me un uomo è una persona forte, ma che nello stesso tempo sa anche essere fragile quando deve esserlo; che rispetta le donne, perché io odio alla follia gli uomini che non rispettano la donna, anzi, li detesto. Una figura… forte».

E la forza non è rappresentata necessariamente dai muscoli (che Jack sfoggia, durante la sfida a braccio di ferro, o che cerca di allenare, facendo le flessioni con un braccio solo, come un “vero uomo”), ma da un atteggiamento più profondo. Scoprire, accettare e perseguire il vero sé richiede molta più fermezza e determinazione interiore di quel che si possa mostrare. Il protagonista affronta con pazienza e spirito di perseveranza la lotta, durante l’iter burocratico iniziato nel 2015 e terminato solo due anni più tardi, con la rettifica dei dati anagrafici e l’autorizzazione legale alla trasformazione dei tratti sessuali. Dopo l’odissea dei processi in tribunale, delle richieste ufficiali, dell’assistenza psicologica, delle spese mediche, delle iniezioni di ormoni, dell’intervento chirurgico per asportare il seno, lo Stato italiano gli riconosce finalmente la propria dignità e ne dichiara ufficialmente l’esistenza. Un traguardo importante, raggiunto con fatica, inatteso per un paesino della Val Trompia, in provincia di Brescia, dove i pregiudizi sono radicati nella cultura e nella società, dettati dalle consuetudini e dalla storia stessa del luogo, condotti agli estremi da un popolo mentalmente chiuso, restio al cambiamento e profondamente tradizionalista. 

Nel film si respira una tensione verso la tolleranza, verso la libertà di esprimersi, nella naturalezza con cui viene affrontato un tema ancora oggi così delicato, senza filtri e tabù; accompagnando il protagonista nella sua quotidianità, seguiamo un percorso di crescita esteriore e interiore (ricorre spesso l’elemento del radersi barba e capelli, speculare all’azione di fasciarsi il seno per nasconderlo, come a sottolineare ossessivamente l’appartenenza alla dimensione maschile).

Il dolore, sempre presente, rimane appena percettibile nella voce di Jack, spezzata per la commozione mentre racconta dell’amica scomparsa, incapace di resistere alle pulsioni suicide che hanno toccato anche lui. Nel finale, i due si rincontreranno, almeno metaforicamente, per un’ultima birra: «Sono sicuro che sarebbe felice per me. Le direi: guardami, si può fare tutto quello che si vuole. Basta avere un attimo di pazienza».

Il documentario Un uomo deve essere forte delle registe Elsi Perino e Ilaria Ciavattini, opera prima autofinanziata, è stato presentato in anteprima al Festival dei Popoli di Firenze e proiettato il 19 novembre al Nuovo Cinema Aquila di Roma, nell’ambito del RIFF 2019 per il Love&Pride Day, giornata che il festival dedica ai film a tematica LGBTQ+. La data, non a caso, combacia con la giornata mondiale contro l’odio verso le persone transgender (nate con caratteristiche sessuali diverse dal genere a cui sentono di appartenere), il TDoR – Transgender Day of Remembrance, celebrata il 20 novembre.

Un’opera degna di nota più per il tema affrontato che per l’originalità delle scelte stilistiche, di impatto spesso troppo debole (interessanti i monologhi in primo piano del protagonista; depotenziata l’inquadratura finale – obliqua, lontana, dal basso – sulla scala del cimitero, incapace di rendere coinvolgente a livello emotivo il momento drammatico). Nell’intenzione delle autrici, il cinema ha tuttavia assolto il suo compito, rendendosi mezzo per raccontare storie insolite, diverse, urgenti e, come in questo caso, per combattere l’omobitransfobia.

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