Samad, di Marco Santarelli

Un esordio nella fiction per uno sguardo promettente che però pare ancora indeciso sulla sua identità profonda, tesa tra cinema del Reale e fiction pura.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Samad è l’esordio di Marco Santarelli ma lo è solo nel cinema di finzione. Il regista è in effetti un documentarista dal palmares già ricco di riconoscimenti e operativo da anni, tra Vision du Réel e Festival di Locarno tra i tanti. E forse non è un caso se il documentario, il suo respiro, sia comunque sempre lì, anche in questo excursus di fiction. Samad pare nascere come strano spin-off del bel Dustur, doc del 2015 che segue gli incontri tra un gruppo di detenuti e alcuni insegnanti e volontari che ragionano con loro di costituzione, diritti, identità.

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Ecco Samad pare davvero un ex membro di questi gruppi di studio, giovane nordafricano che, dopo un patteggiamento, torna in libertà, inizia a lavorare per il comune di Bologna, complice l’amicizia con un prete ma deve continuare a combattere con i suoi demoni. Fuori, nel mondo, quando un suo vecchio amico vorrebbe convincerlo a riprendere la strada del narcotraffico ma soprattutto nel carcere, in cui torna da perfetto detenuto reinserito nella società e si ritroverà coinvolto in un sequestro a opera proprio dei suoi vecchi complici.

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Del documentario Samad eredita però soprattutto, lo sguardo nei confronti delle cose, l’attenzione ai personaggi, ai tipi umani che popolano il racconto. Ognuno pare inseguire quell’eccezionalità tipica dei soggetti documentari: da un lato c’è lo stesso Samad, libero ma forse traditore dei suoi vecchi amici, in crisi con la sua identità e religione; dall’altro c’è il prete di strada del bravo Roberto Citran, personaggio mai così “nel mondo”, colto, lucidissimo nel movimentare con intelligenza i temi del racconto. Attraverso di loro Samad riesce a porre le domande giuste, ragiona di identità profonde, doveri etici e credenze religiose, tolleranza, manipolazione, eppure il film fatica a trovare la sua quadra.

Santarelli ama i suoi personaggi e la sua storia, ma pare indeciso sull’identità del suo film, quasi come il suo protagonista, che a ben vedere, malgrado il comunque propositivo e attento Mehdi Meskar, è il primo elemento a mostrare il fianco, ad irrigidirsi a tratti, soprattutto, a funzionare evidentemente meglio in base a chi gli sta accanto.

Samad inizia come un mafia movie, affascinato da questa Bologna notturna, ambigua, in cui fa perdere il protagonista, movimentato forse più dal mestiere di Santarelli che da vere e proprie idee di regia e tuttavia capace di ammantare il racconto di un’atmosfera malinconica, amara, non scontata. Poi però lo sguardo torna nel carcere, chiude i personaggi in un setup teatrale ma l’andatura pare compromessa. Rischia sempre di mancare il centro della questione, distratto da uno script che pare obbligato a far accadere le cose, invischiato nel gioco dentro/fuori il carcere, nelle trattative con i rapitori.

Di questo passo le questioni esistenziali, identitarie, rischiano sempre più di finire sullo sfondo, evocate nei momenti di maggior tensione ma mai davvero approfondite, piuttosto strumentali al racconto dell’assedio. E così Samad non può che essere un film di fiction asfissiato dal bisogno di fiction a tutti i costi, che a tratti pare dimenticarsi del suo spazio tematico e dei suoi personaggi e che tuttavia usa la struttura da dramma carcerario (seguita con meticolosa attenzione ma senza particolari guizzi) per divenire una riflessione sulla dignità del detenuto e un atto d’accusa, dai toni inaspettatamente risoluti, nei confronti del sistema carcerario italiano.
Ma è un exploit evidentemente imprevisto, che forse scombina troppo le carte del film, sempre più ricolmo di eventi, sballottato tra estremisti religiosi e servizi segreti, toni da thriller e ricerca della suspense. E sui dubbi di Samad il film raramente prende una posizione. Alla lunga, malgrado le buone intenzioni, la finzione ha finito per mangiarsi quella stimolante autenticità da cui si era partiti. Forse la riafferra nella coda minimale, muta, con al centro lo stesso Samad, disperso, rifiutato sia dai cristiani che dai musulmani, evidentemente con più dubbi di prima. Allora il film, evidentemente si illumina, anche se, è chiaro, ora sia troppo tardi.

Regia: Marco Santarelli
Interpreti: Mehdi Meskar, Roberto Citran, Marilena Anniballi, Luciano Miele
Distribuzione: Kavac Film. In collaborazione con KIO Film
Durata: 75′
Origine: Italia, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
3.4 (5 voti)
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