Seven Veils, di Atom Egoyan

Un gioco di specchi fatto di riflessi e deformazioni, tra la rappresentazione e la realtà. Egoyan prova a riaggiornare le sue ossessioni, ma il risultato è didascalico. BERLINALE 74. Berlinale Special

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Jeanine è una regista teatrale, impegnata in un riadattamento di Salomè, l’opera di Richard Strauss basata sul dramma di Oscar Wilde. Per lei non si tratta di un lavoro come gli altri. La Salomè è stata il più importante successo del suo vecchio mentore e amante e ritornare a quell’opera significa raccoglierne l’eredità e compiere un viaggio nei ricordi. Però, quest’immersione nel passato avrà degli effetti imprevisti, rimetterà in discussione tutta una serie di relazioni e di sentimenti mai emersi fino a quel momento. In particolare Jeanine dovrà rivedere il morboso rapporto con il padre, che ha avuto un ruolo fondamentale alla carriera artistica

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In Seven Veils, Atom Egoyan si immerge in un gioco di specchi fatto di riflessi e deformazioni, tra la rappresentazione e la realtà. Ancora una volta è questione di disvelare una verità nascosta nella falsità delle apparenze, fare i conti con un trauma rimosso, con quel gorgo oscuro in cui i desideri e gli impulsi confondono la chiarezza dei sentimenti e dei pensieri. Insomma i temi di sempre, che, neanche a dirlo, troverebbero nel teatro un’ambientazione perfetta. Così come più che adatta è la vicenda di Salomè, per tutta la torbida materia che smuove, quell’intrigo di desideri irrefrenabili, di tensioni erotiche che collimano con pulsioni di morte, di implicazioni incestuose. La parabola è chiara: Jeanine, fermamente convinta che il cuore della storia che sta mettendo in scena sia l’amore furioso di Salomè per Giovanni Battista, dovrà ripensare le sue convinzioni e aprire gli occhi sulla torbida relazione tra la protagonista, il patrigno Erode e la corrotta madre Erodiade. Ed è a quel punto che cominceranno a sollevarsi i sette veli che le impediscono di vedere le cose con chiarezza.

Tutti questi spunti offrono ad Atom Egoyan l’occasione per un’esposizione sistematica, quasi didascalica, delle sue ossessioni. Riaggiornate in maniera forzata alla luce delle grandi questioni del presente. Come è evidente nella traccia collaterale della truccatrice Clea, che si ritrova a subire i pesanti approcci di uno degli interpreti dell’opera. E l’impressione è quella di un cinema che tenta in tutti i modi di non perdere terreno rispetto ai tempi, ma che fa sempre fatica a dar nuova linfa alle sue ragioni profonde. Del resto, Seven Veils, per forme e atmosfere, sembra davvero appartenere a un’altra epoca.

Certo, non mancano i motivi di interesse in Seven Veils. L’interpretazione di una splendida Amanda Seyfried, un equilibrio quasi hitchcockiano tra la tensione e le dinamiche tra i personaggi, l’inquietudine autentica che emanano le vecchie riprese del padre che si rivolge a Jeanine bambina. Ma quando Egoyan prova a rilanciare le sue abituali riflessioni sulle immagini, i formati, i mille filtri che si frappongono tra il nostro occhio e la realtà, mostra una freddezza programmatica. Schermi negli schermi, ombre che si agitano dietro i veli del palcoscenico, vecchi video in bassa risoluzione, immagini riprese con i telefoni, videochiamate… Le fonti e le cornici si sovrappongono, ma in un procedimento meccanico  che complica le storie e moltiplica i livelli in maniera puramente intellettuale. C’è, forse, un’immagine (o meglio una serie di immagini) che esemplifica tutto. Le videochiamate di Jeanine alla madre, tutte girate nella stessa modalità. La madre in primo piano, sulla destra, al centro gli eventuali altri personaggi, la figlia, il marito, la domestica. E sullo sfondo un vecchio quadro di famiglia, che ha un ruolo simbolico fondamentale nella vicenda. Tutto si ripete ed è come raggelato, bloccato nella cornice di un’inquadratura desktop fin troppo chiara e per questo, in fondo, opaca.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
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