The Lazarus Effect, di David Gelb

Tra distratte scene di possessione e pigri riferimenti alla Lucy bessoniana, l’inferno personale in cui sprofonda Olivia Wilde disegna una geografia depurata da ogni potenzialità davvero orrorifica

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E’ ad un passo dal miracolo il team di ricercatori capitanato da Mark Duplass e Olivia Wilde, con quel siero che, testato senza consenso e costato il rimando a data da definirsi di una relazione sentimentale, avrebbe potuto cambiare le carte in tavola nella battaglia che l’umanità ha intentato contro la morte. Ma si sa, le cose sono assai più complesse quando l’uomo gioca ad immaginarsi Dio. In questo suo primo lungometraggio, David Gelb torna a riflettere su un tema assai caro a tanto cinema horror, quello che, a partire dalle implicazioni legate alla creatura nata nel laboratorio del Dr. Frankenstein e passando per esperimenti come Pet Sematary, esplora il superamento del limite, inteso come annullamento della morte.
Fino al suo snodo centrale, un dialogo tra Mark Duplass e Olivia Wilde che si risolve in un impossibile compromesso tra la visione empirica di Frank e quella metafisica di Zoe, The Lazarus Effect si raccoglie intorno a un senso di minaccia, a tratti anche efficace, che, sfruttando le possibilità della geografia volutamente asettica del laboratorio di ricerca, disegna un paziente crescendo, per culminare infine nell’accidentale morte di Zoe e nel suo conseguente “risveglio” ad opera del siero. E sin qui, viene voglia di perdonare le diverse ingenuità in cui inciampa David Gelb, come la sbrigativa dicotomia tra la lettura scientifica e quella religiosa della morte, o l’assoluta accessorietà dell’insistenza sul found footage – con tanto di personaggio, Eva, costruito ad hoc per giustificarne la presenza – che a conti fatti si rivela essere una scelta totalmente priva di significato, se non quello di uniformarsi, quasi per inerzia, ai dettami inaugurati dall’horror del nuovo millennio.
I problemi iniziano, però, ad essere davvero troppo vistosi nella seconda parte del film, quando, disperdendo ogni possibile traccia di originalità, David Gelb sceglie di prendere una precisa posizione, costringere l’anima a tornare indietro, ci dice, non può che comportare la sua perdizione, dando vita ad una piuttosto sconclusionata condanna della volontà di sfidare la morte, che finisce per contraddire le premesse del film e mandare a gambe all’aria il suo iniziale gioco di sospensione. Come se non bastasse poi, lo stesso Gelb sembra non credere fino in fondo in una Olivia Wilde signora del male, con il risultato che, tra distratte scene di possessione e pigri riferimenti alla Lucy bessoniana, l’inferno personale in cui sprofonda la protagonista di The Lazarus Effect, trascinando con sé la sua squadra di ricercatori, finisce per diventare una geografia depurata da ogni potenzialità davvero orrorifica.

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Titolo originale: id.
Regia: David Gelb
Interpreti: Olivia Wilde, Mark Duplass, Sarah Bolger, Evan Peters, Donald Glover, Ray Wise
Distribuzione: Notorius Pictures
Durata: 83’
Origine: USA, 2015

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