Tra Masters Of None e Nanni Moretti – Phaim Bhuiyan a Sentieri Selvaggi

Ecco com’è andata la nostra chiacchierata con Phaim Buyian, regista di Bangla e David Di Donatello 2020 per il miglior esordio, che ci è venuto a trovare insieme agli studenti della nostra Scuola

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Simbolico che il primo ospite della nuova stagione di incontri organizzati dalla redazione di Sentieri Selvaggi sia un regista di nuova generazione come Phaim Bhuyian, autore di Bangla, che ha incontrato gli studenti lo scorso 9 Ottobre.

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Si inizia con un artista giovane, con lo sguardo proteso nel futuro, forse per contrastare un presente così incerto. Durante la chiacchierata, Phaim ha spaziato dal suo rapporto con la tradizione, al ruolo dei nuovi linguaggi della rete per un creativo, fino ad arrivare all’impatto del suo esordio con la comunità Bengalese che vive in Italia.


Riprese e montaggio del video di Carmelo Leonardi e Riccardo Lanaia

Si parte però proprio da Bangla, una vera e propria anomalia produttiva per il panorama italiano contemporaneo: “Anni fa ho lavorato ad un servizio per il programma Nemo. Successivamente venni contattato da varie case di produzione che volevano darmi la possibilità di girare qualcosa di mio. Accettai la proposta di Fandango, che mi affiancò Vanessa Picciarelli per aiutarmi alla sceneggiatura”, ha detto Phaim, che non nasconde le perplessità che l’hanno accompagnato durante i primi contatti con Fandango, lui che si è fatto le ossa girando video musicali  e si è ritrovato improvvisamente a contatto con influenti realtà produttive. A fare la differenza è stata la possibilità di poter gestire un progetto del genere con così tanta libertà creativa: “dopotutto – aggiunge – quando ti ricapita un’opportunità del genere?”.

Bangla nasce dunque all’intersezione tra una produzione coraggiosa e il sostegno di personalità attente alle nuove tendenze del cinema italiano. Ad aiutare il film è stata infatti anche Tim Vision, in quel periodo impegnata a sviluppare contenuti curati da creativi esordienti. I produttori hanno coadiuvato un lavoro di regia complesso soprattutto per la dimensione sociale con cui si è voluto interagire: “Volevo lavorare con la comunità bengalese di Torpignattara ma non esistendo attori del Bangladesh in Italia, il casting lo facevamo in strada chiedendo agli abitanti del quartiere se volevano partecipare”, ha spiegato il regista, ricordando anche le difficoltà legate ad uno script che “doveva essere sempre ripensato per poter andare a toccare tutti i temi che volevo affrontare”. La soluzione è stata pensare ad un prodotto che fosse la sintesi tra la tradizione, il realismo e differenti punti di vista: “Ho voluto che il film affrontasse anche questioni che sono più vicine alla sensibilità di Vanessa che alla mia”, ha poi concluso.

Phaim Bhuyian ha poi parlato degli autori che hanno influenzato il film, citando Virzì, Moretti, Ferrario ma riconoscendo anche un inconsapevole debito con la scrittura di Troisi e svelando di aver preso ispirazione da produzioni estere come Masters Of None. Particolarmente interessante è però il modo in cui il regista posiziona Bangla all’interno di quella narrazione della romanità che caratterizza il cinema italiano degli ultimi anni: “Amo molto il cinema di registi come i fratelli D’Innocenzo e penso che ognuno dei componenti di questo gruppo possa raccontare Roma dal proprio punto di vista, io, in particolare, ho scelto di lavorare su una prospettiva ottimista”, ha detto a questo proposito.

Phaim

Curioso allo stesso tempo che il film non si concentri sui linguaggi degli immaginari digitali, vicinissimi alla sensibilità contemporanea e utili a ripensare certe convenzioni linguistiche ma che Phaim Bhuyian ha evitato perché “per poter riformare un linguaggio dovevo prima conoscerlo”.

Bangla ha però molto da dire anche in rapporto al pubblico delle comunità bengalesi che porta sullo schermo: “È stato molto complesso organizzare delle proiezioni per una comunità relativamente chiusa come quella bengalese, per questo siamo andati in luoghi aggregativi come la scuola Carlo Pisacane – ha spiegato Bhuyian – ma la sorpresa maggiore c’è stata quando l’abbiamo presentato in Bangladesh, squarciando il velo sul destino di quegli immigrati di prima e seconda generazione che spesso, una volta partiti, mantengono il più stretto riserbo sul loro destino di migranti con la famiglia che hanno lasciato in patria”.

In chiusura, Phaim Bhuyian auspica che la buona riuscita del suo esordio sia “il punto di partenza che serve alle case di produzione per dare fiducia a tanti altri giovani creativi che aspettano la loro occasione”.

Parlando poi dei suoi futuri progetti il regista riconosce che le pressioni dopo Bangla siano aumentate ma crede che la strategia migliore sia continuare a fare ciò che sente davvero di voler sviluppare. Una risolutezza, questa, che si ritrova anche nel momento in cui commenta l’incertezza del presente, un momento storico che, per quanto difficile, “una volta passato potrebbe offrirci delle occasioni di riflessioni attraverso la creatività non indifferenti”.

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