Tre colori – Film Bianco, di Krzysztof Kieślowski

Il film meno metafisico della trilogia e quello con lo sguardo più ironico sui conflitti e idiosincrasie dell’umanità. Uno dei titoli più strani e affascinanti del regista polacco con un gran finale.

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La legge è diseguale per tutti. Nessuna pietà per i polacchi in terra francese e per le francesi in terra polacca. Krzysztof Kieślowski utilizza il bianco dell’uguaglianza della bandiera francese in senso anti retorico. E se si guarda anche a Film Blu (1993) e Film Rosso (1994) non si può fare a meno di notare che la libertà e la fraternità risaltano in profondi rovesciamenti di prospettiva. Come se la verità dell’affermazione passasse attraverso la sua negazione.

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Il parrucchiere Karol Karol (Zbigniew Zamachowski) non riesce a consumare il matrimonio con la bellissima collega Dominique (Julie Delpy) e subisce un divorzio che lo getta in mezzo alle  strade di Parigi con soli due franchi in mano. Ritornerà in Polonia per consumare la più ingegnosa delle vendette.

Stretto tra le drammatizzazioni cromatiche e musicali degli altri due film della trilogia dei colori, Film Bianco cerca di lavorare in sottrazione sia in termini di fotografia (ottimo il lavoro di Edward Klosinski), sia di commento musicale extradiegetico sempre affidato al grande Zbigniew Priesner.

È un film che continua ancora oggi a spiazzare la critica che non riesce ad accoppiarlo esteticamente agli altri due colori. È un oggetto strano perché, pur utilizzando il tono della commedia, lo contamina con amare riflessioni sulle anomalie del sistema capitalistico e sulle ricadute nei rapporti personali. La scalata al successo di Karol Karol sfrutta le grande falle che si sono aperte dopo la caduta del Muro di Berlino: svanito il sistema comunista, prende piede il libero mercato che permette a imprenditori senza scrupoli di mettere da parte cospicue ricchezze. Karol Karol da semplice barbone chapliniano, inetto ma simpatico come in un film di Aki Kaurismäki, si trasforma in uno squalo della New Economy con il poco nobile scopo di punire Dominique. Il male viene perpetrato attraverso la ricchezza con un ribaltamento delle posizioni di potere nella coppia.

Dalla lettera di San Paolo ai Corinzi di Film Blu si passa alle carte aride della burocrazia e alle mappe per fare speculazione sui terreni dei contadini. Dal concerto per L’Europa si passa ai nazionalismi dei singoli stati nel post comunismo. L’ironia di Kieślowski colpisce sia la vecchia Polonia (il contadino che vuole sotterrare il denaro) che la nuova (la battuta sul neon, i malaffari e gli imbrogli per fingere la propria morte) ed avvicina Film Bianco al decimo capitolo del Decalogo. Non è un caso che gran parte degli attori provengano proprio da lì, in una ideale prosecuzione che fa di Film Bianco l’undicesimo comandamento: non vendicarti. Kieślowski riduce i momenti del bianco abbacinante all’orgasmo di Dominique e ai flashback del matrimonio con una precoce dissolvenza verso il nero. Poi dissemina il film di segni e simboli ma in maniera molto più discreta: la cacca di piccione, la moneta da due franchi, il busto della venere della fortuna baciato da Karol in un momento di estrema solitudine, il poster di Il disprezzo di Godard, il vecchietto che infila a metà la bottiglia nel contenitore dei rifiuti, il quadro della madonna con bambino nella casa del contadino truffato, il pettine usato come strumento musicale, i guanti nerissimi di Dominique che saluta Karol quasi come volesse artigliarlo, la neve che ricopre la discarica a Varsavia e che fa esclamare a Karol in maniera grottesca: “Finalmente a casa!”. Tutti segni contraddittori che sembrerebbero negare la possibilità dell’eguaglianza ma affermare la diversità del doppio. In realtà è proprio il finale che modellato sulla conversazione a gesti tra Marcello e Paolina nell’epilogo de La dolce vita, regala al film il senso più profondo. Dominique mima dei segni inequivocabili su un possibile rimatrimonio: Karol, a differenza di Marcello, è ancora capace di essere toccato dalla Grazia.

Sceneggiato da Kieślowski con il fido avvocato Piesiewicz, premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino 1994, Film Bianco è il film meno metafisico della trilogia e quello con lo sguardo più ironico sui conflitti e idiosincrasie dell’umanità. Di fronte alla debolezza e ai velleitarismi della commedia umana, quello che resta è una democratica lacrima di “pietas”.

 

Orso d’argento per la miglior regia al 44° Festival di Berlino

 

Titolo originale: Trzy kolory: Bialy/Trois couleurs: Blanc
Regia: Krzysztof Kieślowski
Interpreti: Zbigniew Zamachowski, Julie Delpy, Janusz Gajos, Jerzy Stuhr, Aleksander Bardini, Grzegorz Warchol, Cezary Harasimowicz, Jerzy Nowak, Jerzy Trela, Cezary Pazura
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 91′
Origine: Svizzera, Francia, Polonia 1994

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
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Il voto dei lettori
3.75 (4 voti)
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