True Detective. Night Country, di Issa Lopez

La prima stagione di True Detective senza il suo creatore non può non riflettere su uno spazio e sguardo, perduti. E se l’approccio è spesso fuori misura le risposte che dà sono affascinanti. Su Sky.

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C’è una certa affascinante urgenza nella quarta stagione di True Detective, una spinta che porta la serie a interrogare, a sfiorare, alcune questioni centrali del presente. Non si tratta solo dell’afflato ecologista o dell’attenzione alla rappresentazione delle minoranze, o al gaze femminile che permea il racconto e su cui si tornerà, ma di dettagli più minuti. Pensiamo al concetto di patch, ad esempio, ai dati che curano sé stess, che riscrivono intere porzioni di un programma per migliorarne la resa. Night Country è in effetti una patch di un progetto precedente di Issa Lopez, che HBO ha “agganciato” al mondo di True Detective adattandone lo script. A suo modo pare un virus creativo Issa Lopez, che infiltra il tessuto di uno spazio già noto con buona pace del suo creatore, Nic Pizzolatto. Ma forse, più che un virus, Issa Lopez è una colonizzatrice.

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E pare davvero l’unico True Detective possibile, oggi, quello della Lopez, cineasta di origini messicane che nell’anno di Killers Of The Flower Moon ma anche della seconda parte del Dune di Villeneuve firma il True Detective più interessato a riflettere sul senso dell’identità postcoloniale. Ma bisogna affrontare la questione dalla giusta angolazione. Perché è vero, Night Country non si fa problemi a interrogare il concetto di legacy, la cultura del conquistato, il suo retaggio, a partire dalla storyline di questo noir che vede due detective indagare sul ritrovamento di otto cadaveri in una stazione scientifica in Alaska, si crede uccisi da un’entità sovrannaturale, ma il lavoro più interessante, almeno in termini concettuali, è dietro le quinte.

Intuisce, Issa Lopez, che l’identità di un progetto audiovisivo oggi è nello sguardo di chi ne gestisce i fili, più che nelle sue immagini. Ma più che riscrivere l’immaginario di Pizzolato a sua immagine il suo è un movimento più irrequieto, incompiuto. E in effetti quelle tre linee, l’elemento sovrannaturale, il concetto di legacy e lo sguardo femminile sembrano le uniche, pur forti direttrici di un processo di affermazione dello sguardo che però manca sempre un giro. Non dovrebbe stupire, questo falso movimento.

In un momento in cui la liquidità, l’indefinitezza della propria identità sono veri e propri fondamenti culturali del presente sostituire uno sguardo con un altro potrebbe essere impossibile. Così Night Country non può che portare a vivo la frattura, immergere le due detective in uno spazio che costantemente pare chiedersi dove si trovi e, ancor meglio, a cosa fare riferimento. E le risposte sono a grana grossa ma comunque puntuali, forse anche coraggiose. Se Night Country, sfiora il cinema, lo fa guardandolo in faccia, interrogando i segni di Carpenter o i linguaggi spuri di The Blair Witch Project, ma soprattutto lo fa senza adagiarsi nell’immaginario di riferimento, anzi contraddicendolo, tornando violentemente alla ragione anche se un attimo prima aveva evocato fantasmi. E si tratta di una contraddizione solo superficialmente. Perché la vera paura che emerge tra le inquadrature di Night Country è quella delle sue immagini, apolidi, residuali. Forse sarebbe piaciuta all’onnipresente Fisher la serie di Issa Lopez, fondata, com’è, più o meno consapevolmente, sull’eerie, sugli inquietanti spazi liminali, come alcuni hanno già detto, tra i locali asettici della stazione scientifica, i bar e le casupole disperse nel nulla dell’Alaska, con gli elementi del giallo che, i morti, gli indiziati, le scazzottate per estorcere testimonianze, che prendono posizione sulla scena come su un set, prendendo corpo da un inconscio collettivo ormai in pezzi (e forse non è un caso se una delle due eroine della serie sia la prima detective apertamente schizofrenica dell’universo True Detective), trovare disperatamente un appiglio prima di disperdersi.

Ma anche la pura struttura del thriller non può che divenire una sorta di ironica barzelletta, tra omicidi finiti ostinatamente fuori campo e delitti che sembrano intrappolati in una sorta di loop. Tanto vale, forse, far saltare tutto, trasformare il noir in una storia di fratellanza al femminile inaspettatamente calorosa, ritrovare un’umanità, un’empatia, di cui la scrittura di Pizzolato aveva fatto tabula rasa.

Forse non c’è nessuno più residuale dell’autore americano nello spazio di True Detective in questo momento. In effetti, anche il tentativo, goffo, di creare una qualche idea di connessione tra l’indagine di Night Country e la prima straordinaria inchiesta di Rust e Marty pare il tentativo di far stare in uno schema in via di definizione un pezzo fuori posto, che diviene, giocoforza, il chiodo nella bara di un universo che chiede di essere ricostruito.

 

Titolo originale: id.
Creata da: Issa Lopez
Regia: Issa Lopez
Interpreti: Jodie Foster, Kali Reis, Fiona Shaw, Finn Bennett, Isabella Star LaBlanc, John Hawkes, Christopher Eccleston

 

Distribuzione: Sky

 

Durata: 6 Episodi, 45-73′ a episodio
Origine: USA, 2023

La valutazione della serie di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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