Dune. Parte II, di Denis Villeneuve

Il secondo capitolo tratto dal classico di Frank Herbert è stupefacente, anti-colonialista, cupissimo. Un lucido racconto sulle jihad del nostro tempo e sulle sue profezie ineluttabili.

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– “Dovevi stare dalla parte giusta
– “Ancora non hai capito? Non esistono parti!
(ultima linea di dialogo di Dune, parte II)

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Diciamolo subito. Il più grande film islamico e “scomodo” del XXI secolo lo ha realizzato Denis Villeneuve. Sì, perché Dune. Parte II non è un film di fantascienza/fantasy, o comunque non solo. È un film di guerra. Anzi, di guerriglia. Che parla delle divisioni del mondo e delle macerie di oggi. Come se Villeneuve e il suo co-sceneggiatore Jon Spaihts avessero assorbito il classico di Frank Herbert, pubblicato nel 1965, filtrandolo attraverso le prospettive sanguinarie, economiche e religiose inaugurate dall’11 settembre 2001 fino ai terribili giorni attuali. L’ineluttabilità di una Guerra Santa, di una jihad, è ossessiva in questo secondo capitolo, dominato dai conflitti interiori e dalle visioni di Paul “Muad’dib” Atreides, accolto dalle tribù ribelli Fremen, insieme alla madre strega Jessica, che a sua volta porta in grembo una bambina dai grandi poteri. Una Parte II che per certi versi sembra sciogliere l’imponenza scenografica e la parziale macchinosità del primo capitolo in un flusso emotivo e lisergico orientaleggiante, capace di trovare nella sabbia “la sua preminenza visiva e percettiva”.

Certo, com’era prevedibile le due parti vanno accostate l’una all’altra, a comporre un unico racconto di formazione dalle forti connotazioni dark, capaci di mettere in discussione persino la storia d’amore “generazionale” tra Paul e Chani, destinata forse a soccombere in nome del compromesso politico, della jihad e della guerra come profezia inevitabile. Perché sì, Dune parte II è un blockbuster spettacolare, tutto da vedere e ascoltare nell’esperienza della sala, ma cupissimo, sotto certi aspetti senza alcuna speranza, scritto e diretto come se il suo autore non credesse più all’utopia pacifista che aveva voluto immaginare nello straordinario Arrival

Dune. Parte II è quindi incentrato sulla guerra di liberazione dei Fremen che vedono in Paul il loro liberatore, l’Eletto, il Lisan al Gaib. Perciò questa parabola di fanta-guerriglia è anche un racconto religioso, su di un Messia che lo stesso Paul fa di tutto per allontanare e non riconoscere. E qui è quasi sorprendente scoprire il legame inaspettato tra le paure e i dilemmi esistenziali dell’Eletto, interpretato da Chalamet, e il Gesù de L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, tratto da Kazantzakis e scritto da Paul Schrader, di cui tutta la prima parte del film sembra rievocare dubbi, ritmi tribali e allucinatori e i profeti che vedono nel protagonista il Salvatore che lui non vuole essere. E poi, altrettanto inaspettatamente, spunta l’epica pagana, superomistica, crepuscolare di John Milius. Con i Fremen che sembrano i berberi de Il vento e il leone, a educare il giovane protagonista alla vita nomade e a surfare sulla sabbia del deserto usando i vermi giganti al posto delle tavole da surf. (Del resto resto non a caso Apocalypse Now, scritto da Milius, è uno dei film più visti e amati da Villeneuve). Ma non solo, perché poi, improvvisamente, arriva anche il bianco e nero. Un bianco e nero che di colpo trasfigura il mondo oscuro degli Harkonnen in un film sul nazismo di Leni Riefenstahl. 

Tante, tantissime tracce di un passato-futuro. Di uno spazio-tempo annullato e poi ricomposto da Villeneuve in un viaggio psicotropo che mescola l’immaginario cinematografico con quello della Storia e del Tempo Presente: “la Spezia di Arrakis come medium che azzera le traiettorie spazio-temporali innescando il movimento è di per sé una magnifica allegoria del cinema come dispositivo di memoria e/o di  possibili visioni del futuro” scriveva Pietro Masciullo nel 2021. Ecco. Questo film “rivoluzionario”, in larga parte sottotitolato in quanto parlato e recitato in una neo/post lingua, questo film così apertamente anti-colonialista e terzomondista, dietro l’imponenza della sua produzione (190 milioni di dollari di budget) appare qua e là un’opera quasi umile e antropologica. Non è un caso che nel vedere la vita quotidiana dei Fremen nel deserto, tra rituali, tramonti, imboscate e preghiere di gruppo, sembra quasi di finire in un reportage “sul campo”. E viene in mente soprattutto la folle sezione centrale, fanta-documentaristica, in mezzo all’Oceano, di Avatar – La via dell’acqua, con il deserto (ossessione di Villeneuve) al posto dell’acqua (ossessione di James Cameron). E se allora non fosse questo il punto di arrivo e di congiunzione del grande racconto audiovisivo di questo secolo? Villeneuve/Cameron: canadesi entrambi e quindi a modo loro “immigrati” a Hollywood, con in testa un cinema classico ma sperimentale, popolare ma “politico”. Il primo polveroso e materico, il secondo liquido e immateriale.

E così, nel caotico e pallido mondo di oggi, a noi, alla fine, non resta che meditare e interrogare il doppio Dune di Villeneuve e i due Avatar di Cameron come davanti a due monoliti post-industriali del XXI secolo. Blocchi monumentali e speculari l’uno all’altro, tra analogico e digitale, immaginazione e realtà, astrazione e peso dell’Immagine. Tutto il resto è cenere. O al massimo “meravigliosa” nostalgia retrò. Ma è un’altra cosa. Un altro mondo.

 

Titolo originale: Dune: Part II
Attori: Denis Villeneuve
Attori: Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Florence Pugh, Josh Brolin, Austin Butler, Léa Seydoux, Dave Bautista, Javier Bardem, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling, Stephen Henderson, Christopher Walken , Souheila Yacoub
Distribuzione: Warner Bros. Immagini
Durata: 166′
Origine: USA, Canada 2024

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
Sending
Il voto dei lettori
3.85 (27 voti)
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    Un commento

    • Dune II un film potente, le 3 ore passano veloci, belle le inquadrature del deserto e della vita dei Fremen, un po’ meno interessanti e prevedibili gli intrighi di palazzo