TWIN PEAKS – Terza Stagione, la recensione del primi episodi

A Lynch con il nuovo Twin Peaks non interessa accarezzare il pubblico. Il risultato è un oggetto difficilmente classificabile nei canoni televisivi attuali. In attesa del passaggio a #Cannes2017

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La serialità televisiva, lo diciamo e ce lo dicono continuamente, sta vivendo la sua età dell’oro. Ogni anno, in un’alienante catena di montaggio narrativa, sono scritti, prodotti e cancellati centinaia di show e serial, con un’impazienza di successo e una fame d’intrattenimento che sta degenerando in una inflazione creativa. La ricerca ossessiva verso il Sacro Graal del nuovo prodotto “iconico” non poteva certo lasciarsi sfuggire l’occasione di resuscitare lo show da cui tutto ebbe inizio, quel Twin Peaks massacrato dall’ ABC e cancellato improvvisamente venticinque anni fa, diventato l’emblema di un nuovo modo di concepire la televisione. Il gusto nostalgico verso il revival (con questa snervante serie di sequel, prequel e reboot che non ha risparmiato nessuno, da Alien a Blade Runner, passando per il prossimo inevitabile Indiana Jones) e il terrore dell’inedito che tormenta i sogni commerciali di molte case di produzione sono stati solo due altri buoni motivi per considerare l’idea di una terza stagione di Twin Peaks.

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Showtime ha avuto così il merito di esaudire il sogno di milioni di cinefili e appassionati, garantendo a David Lynch e Mark Frost la possibilità di tornare alle soglie della Loggia nera per riprendere il racconto e chiudere il cerchio. La scelta produttiva del network non è stata certo spassionata e mossa dal desiderio di nobilitare l’arte di uno dei registi più importanti degli ultimi decenni. Il battage pubblicitario, il furbo riserbo sui dettagli della trama o il casting mastodontico con i vecchi protagonisti e nuove star pronte al cammeo, sono trovate che testimoniano il desiderio di Showtime di cavalcare il fenomeno fino in fondo, pronti a giocarsi l’arma finale con cui vincere la battaglia annuale della serialità. Purtroppo per loro, le ambizioni di Lynch sono diametralmente diverse e hanno generato un (im)prevedibile e spassosamente delirante salto nel vuoto.  Il regista, oltre le motivazioni economiche, rivendicate con candore infantile, non è interessato ad accarezzare il pubblico (né dei fan, né dei nuovi potenziali spettatori) con trovate accomodanti. Il risultato sono questi due episodi iniziali, oggetti difficilmente classificabili nei canoni televisivi attuali.

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Lo spettatore abituato a un intrattenimento muscolare con ritmi frenetici, amante trame dalle migliaia di domande corredate dalle inevitabili risposte e appassionato di prodotti perfetti, dalla recitazione al comparto tecnico, cosa potrà dire di fronte a un non-show genuinamente sgraziato, così disinteressato al suo giudizio, al suo apprezzamento? Il nuovo Twin Peaks, in un immaginario comune che considera iconici Breaking Bad, Il trono di spade e True Detective, si pone davvero in un altro luogo, in un’altra competizione. Lynch sa che non può certo competere con narrazioni costruite scientificamente sui metri di giudizio e sulle esigenze veloci di un pubblico superstimolato. Ecco, dunque, spiegato il suo desiderio di ostentare il kitsch, le atmosfere stonate, gli attori invecchiati, gli effetti speciali pacchiani. Anche lo sberleffo della nuova quest “gialla”, di un delitto talmente orribile da parodiare le trovate di chi, inseguendo l’esagerazione più cruenta sfocia nell’auto-referenziale, è l’ennesima mossa di un autore che prende drasticamente le distanze.

Lynch, infatti, sin dalle prime scene, liquida i punti in sospeso con il passato e lascia libero la propria potenza creativa, una capacità immaginifica che, forse, non trova nella tv il suo medium ma rimane ad ogni istante di una forza abbacinante. David Lynch rispetto alla nostra tv, alla nostra serialità, non solo è altro ma è L’Altro. Lui è un’entità senza tempo e senza spazio, uscita da qualche Loggia e arrivata sul palcoscenico più mainstream per mortificare le nostre aspettative bulimiche, il nostro bisogno tossicodipendente del nuovo evento da condividere, del nuovo personaggio “cool” da idolatrare, della battuta sagace da ripetere tra gli amici. La nuova stagione di Twin Peaks, di fronte, al Giudizio della Gente, uscirà probabilmente massacrata. Siamo sicuri che questo sia un problema per Lynch? Non è difficile immaginarcelo ridere di gusto di fronte ai tweet e ai post saccenti di chi si aspettava altro, forse True Detective 3, e si ritrova di fronte tutto questo!  Con una sola semplice mossa iniziale Lynch sembra non solo rinnegare lo stato cult delle prime stagioni e quel retaggio che ha attraversato la televisione degli ultimi due decenni ma sabota dall’interno tutti i meccanismi di un’industria narrativa che, mai come oggi, sta mostrando tutti i suoi limiti, in opulenza decadente più da fine impero che da eterna età dell’oro.

I nuovi episodi di Twin Peaks diventano così il modo perfetto per guardare in faccia le nostre esigenze superficialità da pubblico cannibale. Una lezione che, qualsiasi sia il suo esito commerciale e critico alla fine del viaggio, segnerà un punto di non ritorno sui destini dell’industria televisiva e nella narrazione seriale.

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