Una storia senza nome, di Roberto Andò

Tra echi di Pirandello e Sciascia la scrittura di Andò vuole avvolgere lo spettatore in una colta rete di riferimenti culturali che zavorrano il suo film. Alla ricerca del cinema perduto…

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La risposta dello sceneggiatore Alessandro Pes (Alessandro Gassman) ai fantomatici malavitosi che lo sequestrano per interrogarlo sul suo pericoloso “nuovo soggetto” è illuminante. Qual è il mondo del cinema italiano a cui fa riferimento Pes? Un mondo molto appartato ed esclusivo, par di capire. Protetto, ovattato, concepito sorseggiando caffè accanto a libri di Proust esposti in bella vista, quindi alla continua “ricerca” di se stesso? Il nuovo film di Roberto Andò – regista come sempre interessato ai temi del doppio, ai cortocircuiti tra arte e vita, letteratura e cinema, politica e società – fotografa un ironico e (in)volontario stato delle cose sul cinema italiano contemporaneo.

Andiamo con ordine: Pes è profondamente disilluso dal suo mestiere, ha perso da tempo l’ispirazione, “non scrive una parola da dieci anni“. Per questo trova in Valeria (Micaela Ramazzotti) – la talentuosa segretaria del suo produttore, nonché figlia di una stimata intellettuale (Laura Morante) – una ghostwriter che scrive in incognito nuove storie che lui si limita a firmare. Sino a quando la ragazza entra in contatto con un misterioso poliziotto in pensione (Renato Carpentieri) che le racconta un’incredibile storia senza nome da cui prendere spunto per un nuovo soggetto: si parte dal furto di uno dei quadri più preziosi di Caravaggio (la “Natività”) rubato dalla mafia nel 1969; per proseguire col viaggio grottesco di quel quadro tra realtà e leggende popolari che si raccontano ancora oggi a Palermo; arrivando infine agli intrighi di potere che gravitano intorno a quel furto scuotendo ancora le istituzioni nazionali (il ritrovamento potrebbe garantire all’Italia una promoziona da BBB- a BBB+ nelle agenzie di rating internazionali…). Valeria ha finalmente una nuova storia da far firmare ad Alessandro. Lo spunto di cronaca condito con le informazioni scottanti del poliziotto viene filtrato dalla lente deformata dell’arte… e il “film è scritto”. La produzione è entusiasta tanto da ingaggiare un noto regista internazionale (interpretato da Jerzy Skolimowski), ma tra i finanziatori interviene anche un ambiguo imprenditore filantropo in stretto contatto con le organizzazioni criminali…

Insomma: tra echi di Pirandello e Sciascia la scrittura di Andò vuole avvolgere lo spettatore in una colta rete di riferimenti culturali che zavorrano il suo film sin dall’inizio. Lontano dal furore visionario di Marco Bellocchio ne Il regista di matrimoni e lontano anche dagli abissali fantasmi privati di Nanni Moretti in Mia madre, questo film-sul-cinema adotta toni da tragicommedia sofisticata per rispondere con leggerezza a domande universali: quali sono i confini odierni della rappresentazione? Che potere hanno le storie di dire la verità tradendola? Ma il film fatica non poco a tener fede a questi interessanti presupposti, proprio perché l’esperienza del cinema è naturalmente assimilata a quel quadro di Caravaggio: un prezioso pezzo da museo tolto alla disponibilità comune, da recuperare pian piano come una reliquia perduta, passando per ministri della cultura che bramano la “citazione giusta” e grandi registi del passato che timbrano il cartellino svogliatamente. La sospensione dell’incredulità diventa un esercizio di stile programmato che non riesce più a produrre magia: lo sguardo sardonico di Jerzy Skolimowski mentre si aggira per stanze tutte uguali agghindate con le gigantografie de L’australiano e Il vergine ci parla di un cinema stanco e fuori dal tempo che ha comunque l’onestà di manifestarsi come tale.

 

Regia: Roberto Andò

Interpreti: Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri, Alessandro Gassman, Laura Morante, Jerzy Skolimowski, Antonio Catania, Gaetano Bruno, Marco Foschi, Renato Scarpa

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 110′

Origine: Italia 2018

 

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