Unbreakable – Il predestinato, di M. Night Shyamalan

Come Il sesto senso, un altro film di fantasmi, Con un’ossessione che permea tutto il film e lascia passare in secondo piano i corpi segnati dei personaggi.

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David Dunn è l’unico superstite di untragico incidente ferroviario. Dopo questa esperienza, la sua esistenza è turbata. Il suo matrimonio con Audrey è a un punto morto e il dialogo col figlio vive tra alti e bassi. Nella sua vita è poi entrato anche Elijah, il proprietario di una galleria d’arte riservata ai fumetti. È un eccentrico collezionista che è affetto da una rara malattia; ha infatti le ossa estremamente fragili e qualunque tipo di scontro può causargli una frattura.

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Anche in Unbreakable Shyamalan mostra i segni di uno stile, di un’intenzione registica che ha attraversato anche la sua opera precedente, The Sixth Sense – Il sesto senso. I due film sono uniti dall’ossessiva ricerca di un’atmosfera, di un sentire i luoghi, le sensazioni e i sentimenti dei personaggi più che strutturarli attraverso l’azione. Il corpo possente e malinconico di Willis e quello folle e segnato di Jackson sono qui chiamati a disegnare i contorni di personaggi la cui identità è marcata da una scelta dolorosa, di un abbandono, dal limite. Le inquadrature li presentano infatti delineati spesso dai confini, da oggetti che tagliano il quadro e impediscono di mettere i personaggi in rapporto con l’esterno (le poltrone del treno, le colonne e le porte dello stadio, le pareti delle case, le finestre); uomini dolorosamente chiusi nei mondi da loro costruiti, vuoi per scelta (Willis), vuoi per necessità (Jackson). È solo nel momento del loro primo, indiretto, contatto (il biglietto sul parabrezza) che la macchina da presa s’innalza, rapida, in un dolly che sembra voler aprire uno spiraglio. Ma è forse solo un’illusione, un breve scarto. Forse tutto nasce dalla mente malata di Pryce/Jackson, alla disperata ricerca di una nemesi, di un eroe a lui opposto che gli dia uno scopo, una motivazione. Forse, allora, David/Willis diventa un eroe per trovare anch’egli un senso che lo liberi dalla tristezza che deriva dalla sua scelta di vita.

Unbreakable è in fondo un’altra storia di fantasmi, come Il sesto senso, forse senza volerlo. Shyamalan è ossessivo nel voler puntare tutto su un’atmosfera, nel sottolineare tutto attraverso l’accentuazione dello stile, dell’inquadratura ragionata fin nei dettagli, della musica evocativa, della fotografia fredda che avvolge Philadelphia, la città dell’ “amore fraterno”. Un’ossessione che finisce nel permeare di sé tutto il film, nel far passare in secondo piano i corpi segnati dei personaggi, la loro sofferenza fisica, la realtà di un dramma che passa innanzitutto attraverso i corpi. Tutto contribuisce a creare uno schermo tra loro, uno sguardo che li avvolge e in fondo non ne libera il dramma. Il duello, il conflitto tra due personaggi, tra due corpi estremi è solo presentato, annunciato, non mostrato. I personaggi sono evanescenti come quelli dei fantasmi e il film finisce per dilungarsi oltre misura in un gioco fine a se stesso, che ammorbidisce pudicamente ogni contrasto, ogni conflitto.

 

Titolo originale: Unbreakable
Regia: M. Night Shyamalan
Interpreti: Bruce Willis, Samuel L. Jackson, Robin Wright, Spencer Treat Clark
Durata: 106′
Origine: USA, 2000
Genere: drammatico/azione

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