VENEZIA 69 – “Superstar”, di Xavier Giannoli (Concorso)
Giannoli s’immerge nella sua folle scatola chiusa, piomba a perpendicolo sulla superficie riflettente (lo schermo?) del suo personale Truman Show con una lucidità invidiabile. Non disegna mappe utopiche né immagina rivoluzioni, ma non rinuncia alla speranza. Eppure, Superstar è condannato a scontare il peso della sua evidenza programmatica
Ispirato al libro L’idole di Serge Joncour, Superstar assomiglia casualmente all’episodio di Benigni nell’ultimo To Rome With Love di Woody Allen. Ma se lì si rimane a un livello di breve e sagace parabola, qui Giannoli vuole portare sino alle estreme conseguenze l’asfissia autoreferenziale della società dello spettacolo nell’era del 2.0, sempre più oppressa dalla proliferazione delle immagini, dei punti di vista e di ripresa. “Anche l'intelligenza finisce per essere intrappolata nel meccanismo dell'evento spettacolare. Martin non viene tormentato per la strada perché è famoso, piuttosto è famoso perché continua a essere perseguitato mentre cammina”. L’idea è chiara, l’assunto, lo svolgimento anche. E quell’aumento costante di pressione della messa in scena amplifica la sensazione di trovarsi in un’apparenza inestricabile, un’illusione senza via d’uscita. È come se Giannoli facesse muovere i suoi protagonisti in uno spazio liminare tra l’angosciante crudeltà del reale e la deformazione prospettica della follia. Era già accaduto in À l’origine, con il truffatore che intravedeva il proprio riscatto nella cieca adesione alla finzione. Ora, qui, Martin deve fare i conti con l’assurdità “kafkiana” che sembra risucchiarlo. La sua resistenza è labile, il suo desiderio d’invisibilità fuori da ogni consapevolezza ribelle. Eppure, alla fine, può ancora trovare qualcosa, qualcuno di autentico.
Giannoli s’immerge nella sua folle scatola chiusa, piomba a perpendicolo sulla superficie riflettente (lo schermo?) del suo personale Truman Show con una lucidità invidiabile. Non disegna mappe utopiche né immagina rivoluzioni, ma non rinuncia alla speranza. Eppure, Superstar è condannato a scontare il peso della sua evidenza programmatica, della chiarezza ai limiti del didascalico delle sue enunciazioni. Schiacciati nell’apologo, i personaggi si trasformano in tipi: il lupo e l’agnello, la volpe e l’uva. Gli unici a trovare una dimensione piena sono Martin e Fleur, grazie alle interpretazioni di Kad Merad e Cécile De France. E proprio nel rapporto ‘impossibile’ tra i due Giannoli sa trovare la sincerità, l’emotività dei suoi momenti migliori.