Viale del tramonto, di Billy Wilder

Rimescola arte figurativa e narrativa, entra nel tempio di Hollywood fingendo reverenza ma poi mette a nudo i meccanismi perversi della celebrità. Imperdibile. Domattina, ore 6.10, Sky Cinema Drama

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“È curioso come la gente vi tratti con tanta delicatezza solo quando siete morti…”  (William Holden)

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Domani non è più un altro giorno. Quando si affronta Sunset Boulevard la prima cosa che viene in mente è questa alternanza tra passato glorioso e futuro impossibile, tra tango e bebop, tra pantomima e uso chirurgico della parola mentre illusione cinematografica e vita reale si confondono ad ogni sogno spezzato. Viale del tramonto rimescola arte figurativa e narrativa per celebrare il sacro rito del cinema ma contemporaneamente svelarne le crudeltà e i narcisimi. Entra nel tempio di Hollywood fingendo reverenza ma poi mette a nudo i meccanismi perversi della celebrità. Si introduce nei Paramount Studios per osannarli e poi ironizza sul tempo come distruttore dei miti di celluloide. È un gioco d’equilibrio che solo Billy Wilder può condurre senza incappare nella censura o nella retorica: ogni inquadratura svela questa tensione tra la fascinazione e la disillusione.

La storia dello spiantato sceneggiatore Joe Gillis (William Holden) diviso tra la relazione opportunistica con la matura diva Norma Desmond (Gloria Swanson) e l’innamoramento per la segretaria/lettrice Betty (Nancy Olson) è una corsa folle verso l’autodistruzione e finisce miseramente nelle acque di una piscina, con un cadavere ripreso da una posizione impossibile che racconta la propria storia dall’aldilà.

Le prime immagini del film ci introducono nella Sunset Boulevard, strada che si tuffa nel Pacifico e dalla quale si può vedere un magnifico tramonto. Ma in realtà a tramontare sono le vite dei protagonisti. Tramonta la vita di Joe che non riesce più a scrivere una sceneggiatura decente e si trasforma da giovane leone (The Young Lions di Irwin Shaw è il romanzo che sta leggendo) in gigolò mantenuto da una svampita star del muto. Tramonta la vita del maggiordomo Max (Eric von Stroheim), un tempo grande regista e scopritore di talenti e adesso umile servitore che tiene in piedi una sceneggiata patetica scrivendo false lettere di fans inesistenti. Tramonta la stella di Norma Desmond, un tempo diva acclamata (“Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo!”) e adesso fantasma tra i fantasmi di un passato che sembra essere diventato il suo sarcofago. Norma trascorre le giornate scrivendo il copione di Salomè e facendo l’imitazione di Charlie Chaplin: si muove tra vecchie fotografie e partite a carte con altre anziane glorie del cinema muto (Anna Q. Nilsson, H.B. Warner e Buster Keaton che esclama per due volte un malinconico “passo”). Tramonta il vecchio cinema fatto di sguardi e gesti enfatici per lasciare spazio ai dialoghi e alle sceneggiature (simbolico il titolo dello script “La porta violata” dove un marito e una moglie non si incontrano mai). Tramontano gli ideali giovanili e le ingenuità adolescenziali per lasciare il posto al cinismo e alla crudeltà di una società travolta da produttori avidi, giornalisti sciacalli (stupendo il cameo di Hedda Hopper), registi crudeli (Cecil B. DeMille sta girando il suo Sansone e Dalila e non vede l’ora di sbarazzarsi di Norma Desmond e della sua Salomè), feste volgari (si canta Buttons and Bows in stato etilico) e tipi alla Gordon Cole che mirano solo alla Isotta Fraschini della Desmond.

La scimmia è morta e il funerale è compiuto: l’incantesimo nel quale vive Norma Desmond verrà squarciato dalle terribili frasi di Joe che svela la messa in scena ma firma la sua condanna. Solo un genio visionario come Billy Wilder può inventarsi la scena del cinemino in soggiorno con il regista Eric Von Stroheim/Max che fa il proiezionista di un suo film realmente girato con la Swanson nel 1928: le immagini de La regina Kelly sono un magico momento di fusione tra realtà e fantasia. Qui Gloria Swanson emerge dall’oscurità e, investita dal fascio di luce del proiettore, proclama enfaticamente il suo diritto a non essere dimenticata.

Wilder utilizza la tecnica per mostrare il lento decadimento di un’atmosfera funebre e polverosa, da gotico americano: osservate il gioco di specchi con l’immagine di Norma Desmond che sale le scale mentre Joe la osserva indirettamente attraverso il riflesso oppure le mani del maggiordomo Max inquadrate in primo piano mentre esegue la Toccata e fuga di Bach. O ancora la lampadina che si accende e si spegne negli studi della Paramount e il fantastico occhio di bue sulla protagonista che attira i fan fino a a quando Cecil B. DeMille esclama la frase crudele “Sposta un po’indietro quella luce”. E la crudeltà ha il suo apice nei patetici tentativi di Norma di fermare l’invecchiamento con lifting, creme, fasciature (questa scena creò una frattura insanabile tra Billy Wilder e il suo sceneggiatore Charles Brackett). Joe vive la sua storia d’amore con Betty in uno scenario di cartapesta, dove tutto è finto (anche il naso) ma alla fine deciderà di annegare i suoi sogni in una piscina barocca infestata dai topi.

Finale strepitoso con il falso ciak che sancisce la vittoria della finzione scenica sulla vita reale con Billy Wilder che sfuma il close up richiesto dalla diva nell’ultima discesa verso la follia. Impreziosito dagli splendidi costumi di Edith Head (che si ispirò al New Look di Dior del 1949), Viale del tramonto vinse nel 1951 tre Oscar per la migliore sceneggiatura, per la migliore scenografia e per le musiche (Franz Waxman) e diventò nel tempo un punto di riferimento per ogni opera di cinema che voleva riflettere su sé stessa e sui perversi meccanismi di autoconservazione e promozione. Attraversato da una ironia macabra che ne stempera i momenti più drammatici, rappresenta il canto del cigno di un mondo in dissolvenza che cerca un’ultima illusione prima di precipitare nell’oblio. Viale del tramonto è in realtà un boulevard of Broken Dreams. Ieri era un altro giorno.

 

Titolo originale: Sunset Boulevard
Regia: Billy Wilder
Interpreti: Gloria Swanson, William Holden, Eric von Stroheim, Nancy Olson, Fred Clark, Cecil B. De Mille, Hedda Hopper, Buster Keaton, H.B. Warner
Durata: 100′
Origine: USA, 1950
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.32 (19 voti)
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