Voci dal futuro: l’esempio di CALLS

La serie di Fede Alvarez lanciata da Apple TV è un esperimento che rimette al centro la voce, nell’era dei podcast e dei software di riconoscimento vocale

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Il 19 marzo Apple TV ha lanciato la sua nuova serie, Calls, un esperimento che va oltre i confini dell’audiovisivo. Si tratta infatti di una serie sprovvista di immagini, costituita solo da registrazioni telefoniche. Una serie da ascoltare più che da vedere. Creata da Fede Alvarez (Man in the Dark), si compone di nove episodi da dodici minuti ciascuno, durante i quali il pubblico segue le vicende attraverso fonti audio, che ci vengono fatte credere reali, e una grafica minimale, composta solo dalle animazioni dei sottotitoli delle conversazioni che compaiono in sovrimpressione. Gli attori, tra cui Pedro Pascal, Lily Collins, Rosario Dawson, prestano le loro voci a personaggi di cui non vediamo mai i volti, ma di cui possiamo solo ascoltare le conversazioni al telefono.

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Non è un caso che l’esperimento sia stato lanciato da Apple TV, il colosso per antonomasia dei dispositivi audio e di riconoscimento vocale, prima con Siri e con l’homepod poi, che ha dato vita a una serie infinita di varianti, da Alexa a Google Home, aprendo le frontiere alla voice conversation e alla voice recognition come nuove modalità di interazione con gli strumenti hi-tech. Il riconoscimento vocale negli ultimi anni ha raggiunto vertici di utilizzo e applicazione in vari campi, da quello automobilistico e satellitare, a quello tecnologico, dagli orologi ai supporti domestici che è possibile controllare attraversi i comandi vocali.
Viviamo nell’era dei desktop e degli smartphone movie, sommersi da un flusso continuo di immagini, in movimento o meno, a seconda del canale a cui sono destinate: se da una parte al cinema e sulle piattaforme streaming proliferano film e serie tv, dall’altra i social sono zeppi di meme, gif, foto e video amatoriali. In questo senso Calls si inserisce in una corrente di riscoperta della voce e della dimensione uditiva testimoniata dal moltiplicarsi vertiginoso dei podcast (e di conseguenza, di piattaforme di hosting, dalle classiche Audible e Spreaker, alla neonata Roger) e social network dedicati alla messaggistica vocale come Clubhouse, che vanno ad aggiungersi al trend dei lyric video, composti solo dal testo animato della canzone, di cui Prince e George Michael sono stati anticipatori, e tornati in auge, in forme più o meno ibride, nel panorama del pop mainstream.

L’immagine lascia il posto alla voce, il suono si sostituisce al movimento come conduttore dell’attenzione dello spettatore (o, per meglio dire, dell’ascoltatore). È la voce infatti che crea e direziona la narrazione, dà forma ad un immaginario che rende l’esperienza ancora più soggettiva perché non mediata da alcuno scenario precostruito. Tutto è affidato all’immaginazione dello spettatore e alla sua capacità di lasciarsi suggestionare da ciò che ascolta. Il ritorno all’elemento vocale, alla registrazione telefonica, al messaggio audio, si riallaccia in maniera circolare all’origine dei supporti audio, in primis ovviamente la radio, ma anche di diverse piattaforme di condivisione video come Youtube, su cui è possibile trovare innumerevoli registrazioni telefoniche, chiamate di emergenza al 911, video di scherzi telefonici. L’esperienza uditiva è stata portata all’apice poi dal ritorno ciclico della musica in 8D, i cui file hanno riempito i gruppi WhatsApp  e i social network nel tentativo di rendere l’esperienza di ascolto sempre più immersiva.

Non è scontato il fatto che un prodotto come Calls sia stato pensato e realizzato in tempi pandemici, quando le possibilità di movimento si sono ridotte al minimo e videochiamate e messaggi vocali si sono sostituiti agli incontri fisici. Non è da escludere quindi l’ipotesi che in futuro verranno sviluppate sempre più produzioni simili, dove il dialogo si sostituisce all’azione, aprendo l’orizzonte a film o serie incentrati esclusivamente sullo scambio vocale, recuperando intuizioni già esplorate dagli esperimenti di Derek Jarman, Jean-Luc Godard o Andy Warhol, tra gli altri.
Inoltre, differentemente da quanto si è finora ipotizzato sul cinema del futuro, dal quale secondo molti i primi a scomparire saranno proprio gli attori perché divenuti sostituibili artificialmente, Calls dimostra invece come nomi noti del panorama cinematografico facciano da cardine in produzioni simili proprio perché dotati di voci conosciute e riconoscibili, com’è stato per la Scarlett Johansson di Her, la cui voce ha contribuito a rafforzare e alimentare l’immaginario che il pubblico le ha costruito attorno nel corso del tempo.

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