X DIVERGENTIff – Rielaborare il pensiero per non farsi neutralizzare

Auto-narrazione e pluralità sono il fondamento delle nuove antologie trans in costruzione, come arma contro ogni repressione. Come accade in Amaranto e I tanti triangoli rosa, due anteprime

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Dall’America Latina degli anni delle dittature alla Bologna pandemica dei nostri giorni, tra metropoli immense, strade buie di periferia e oceani da attraversare: la storiografia trans ci fa scoprire oggi itinerari migratori vecchi e nuovi, in cui sogni, aspirazioni e talvolta violenza, si fondono insieme. Questo è il tema del X DIVERGENTI – Festival Internazionale di Cinema Trans, quest’anno in streaming gratuito sulla piattaforma docacasa.it. Un racconto portato avanti riappropriandosi del diritto di parlare e di auto-narrarsi, pronto a tracciare le linee di un disegno in cui la persona trans non sia più solo l’outcast esotica colorare le cronache delle città; ora, finalmente, «mi racconto dunque sono». Auto-narrazione e pluralità sono il fondamento delle nuove antologie trans in costruzione, una babele coloratissima, e, per dirla con Porpora Marcasciano, favolosa. Un vivaio di storie sotterranee che vengono alla luce con tutto il loro portato iconoclasta a sbugiardare la morale sessuofoba e transfobica, carica di violenza in cui viviamo.

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A qualcuno, forse, sarà capitato di ascoltare la canzone di Fabrizio De André intitolata Prinçesa. Ebbene quell’eccezionale filologo, insaziabile divoratore di libri e conoscitore di storie si imbatté ormai parecchi anni fa in un piccolo tesoro: considerato il primo testo di letteratura migrante in Italia, l’omonimo libricino con questo titolo dall’eco fiabesca, racconta la storia di vita della transgender brasiliana Fernanda Farias de Albuquerque, dall’infanzia in Brasile a tutte le tappe di un viaggio, di una metamorfosi fisica ed esistenziale, fino all’approdo in Italia. Come si legge sulla nuova edizione multimediale del testo curata da un’équipe di ricercatori e docenti divisi tra Roma e Marsiglia, il libro non è firmato dalla sola ‘Prinçesa’ ma anche da Maurizio Iannelli, che incontrò Fernanda negli anni di prigionia a Rebibbia mentre scontava una condanna per motivi politici. Ora, perché raccontare tutto questo? Perché in questo libello straordinario, che è anche testimone di un incontro straordinario – ovvero quello tra le persone trans e gli ex brigatisti detenuti allora a Rebibbia – sta molto di quello che due semplici parole accostate, migrazioni trans, possono esprimere. Prinçesa è un manifesto in cui leggere appunto la sessuofobia di un paese cattolico che incarcerava le persone trans perché ‘offensive’ per la morale, un paese che non considerava e stigmatizzava – e lo fa tutt’ora – il lavoro sessuale, ed è anche il manifesto di una migrazione alla volta d’un luogo ospitale che però si è rivelato tutt’altro che tale. Senza dimenticare poi che tra queste pagine si legge tutta la brutalità dell’istituzione carceraria, con la quale ahimè, molte persone transessuali/transgender si sono scontrate. Repressione e brutalità ‘di Stato’ sono infatti altri elementi ricorrenti che puntellano le antologie trans, quasi una costante proppiana; e non solo quelle di carta ma anche quelle cinematografiche, a conferma di anni ed anni di persecuzioni, le cui ripercussioni giungono fino ad oggi.

Ce lo conferma il regista Luca Gaetano Pira, che partendo da un progetto fotografico e di archivio legato al recupero della memoria storica di diverse comunità LGBTQ+ nel mondo, punta il suo sguardo sul Sud America, raccontandoci nel documentario I Tanti Triangoli Rosa, presentato in anteprima assoluta al X Divergenti, una storia troppo spesso dimenticata, ovvero quella delle torture e delle incarcerazioni forzate operate ai danni di alcuni componenti delle persone queer, o non omologate alla cosiddetta ‘norma’ sessuale, dei paesi latinoamericani all’epoca delle dittature di Pinochet, Videla e così via. Una caccia alle streghe pianificata e coordinata dall’alto, i cui retaggi resistono ancora oggi, basti guardare al vicino Brasile. Anche in Italia siamo ben lungi dall’essere esenti da queste problematiche, e la transfobia si annida persino in luoghi insospettabili come le università. Ma è soprattutto a livello di riconoscimento e tutela legale che il nostro paese risulta arretrato o cieco. Per questo Noemi Marilungo ha deciso di girare Amaranto. Suo desiderio è quello di entrare in contatto con la realtà del sex work che rappresenta il quotidiano di molte di queste ragazze e ragazzi trans; già stigmatizzate per la loro identità sessuale e per l’attività lavorativa, molte di loro si sono trovate senza lavoro e senza alcuna forma di ammortizzatore sociale durante l’emergenza sanitaria, costrette a vivere il ricatto tra la propria salute ed il proprio sostentamento. Ora più che mai insomma il silenzio in merito risulta assordante.

Si tratta di due lavori, quelli di Pira e Marilungo, diversi, ma che nella loro impostazione classica traggono la propria forza, dimostrando di volersi concentrare sul messaggio politico e sociale: ossia la necessità di queste persone di rivendicare la propria esistenza, rivendicare i propri diritti e, in sostanza, «rielaborare un pensiero e una cultura in grado di non farsi neutralizzare».

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