ZEBRA CROSSING. Ripensando al design 2023

Il Salone e il Fuorisalone di Milano 2023, ma non solo: il design è sempre più il linguaggio centrale per leggere il contemporaneo. Ecco l’anno di Zebra Crossing

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Il 2023 conferma l’ascesa del design come nodo centrale dell’immaginario di oggi, punto di conversione dello sguardo, fenomeno che muove dalla ormai passata grande narrazione verso l’esplorazione non sistemica dei veloci spunti che un “progetto” (di qualsiasi fattura) può far scaturire. Sapendo come la rilocazione di cui parla Casetti porti il nostro sguardo a trovare rimandi cinematografici in ogni creazione visuale l’universo ci dia a vedere, la progettualità del design diventa terreno del cinema del futuro, come ben esplicitato da ciò che di più interessante abbiamo visto durante l’anno che finisce.

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Ponendo soprattutto il Fuorisalone come punto nevralgico dell’orizzonte da scrutare, le dinamiche interessanti del 2023 per noi si dividono tra le due ali della Milan Design Week (Salone e Fuorisalone) e alcune interessanti visioni che hanno colpito più di altre nel mare del visibile.

Il Salone
La nuova giovane presidente Maria Porro è consapevole che per innovare si debba impostare la sua prima volta di Euroluce contro la dispersione e verso la focalizzazione. Quindi per Euroluce 2023 (dal 18 al 23 aprile a Rho Fiera) chiede allo studio Lombardini22 di inventare un percorso espositivo verso una dimensione accrescitiva e appunto non dispersiva. Lo studio produce una sorta di anello a cui aggiungere una serie di interventi mirati all’interno della mostra plurale City of Lights, compresa di libreria (utile a ridare la storia e il pensiero che un secolo di design non deve perdere, una volta messo in violenta discussione dal Covid).


City of Lights cattura come pochi il nostro sguardo, facendo quasi dimenticare di essere in un polo fieristico. Per essa abbiamo tuttora negli occhi le visite a due snodi: “Albe. Luci di domani” allestita da Matteo Pirola; “Natura Tempo e Architettura” con le foto di Helen Binet. Notiamo la sempre più interessante dicotomia tra uomo e oggetto, come se l’artefice di tutto diventasse sempre meno importante nell’economia delle cose, mentre gli oggetti prendessero sempre più potere. Se è vero che già oggi il design prova a fare a meno dell’uomo (si pensi solo all’Internet of Things) è paradossale come tali mostre sembrino notevoli loro malgrado, capaci cioè di sottolineare più del solito (dato il contesto) la nostra umana inutilità. Pensiamo sia agli oggetti luminosi della prima mostra (brillanti di luce propria in tutti i sensi) sia soprattutto ai paesaggi vuoti fatti di volumi e di spazi della seconda mostra, in cui l’assenza di visitatori ne faceva risaltare il senso.

Fuori di questi allestimenti il Salone corre per vendere, mentre il nostro occhio zebrico prende tempo per contemplare. Ci viene in mente il mitico Donald Duck messo tra i volumi geometrici del sempre compianto e troppo poco considerato Duggie Fields, e capiamo ancora di più quanto potente possa essere la riapparizione di una figura in tali astratti scenari. Tuttavia, come accennato, il Salone non può perdere tempo. La corsa alla vendita dell’oggetto continua imperterrita e il tutto ci sembra mirabilmente sintetizzato nel minimalismo della Black Flag di Konstantin Grcic.

Il Fuorisalone
Molto più libero di muoversi verso la contemplazione pura il Fuorisalone non esprime in modo così drammatico la necessità di fare cassa. Anzi, l’uso di spazi abbandonati da parte di realtà come Alcova (non l’unica a farlo) ricorda molto il rimpianto “effimero” di Nicolini. Tuttavia tra Fuorisalone ed Estate Romana la differenza è netta. Dietro l’apparenza libertaria anche gli espositori del Fuorisalone vogliono vendere. Non si ha più elargizione gratis di bellezza, bensì una forma di negoziazione in cui al piacere dell’oggetto si vorrebbe conseguire un controvalore economico. Alcova, il cui nome ci riporta ad un distacco, nella pratica si dimostra ferma nel volersi porre direttamente al centro dell’agone mercantile per esserne protagonista, tanto che tutto il design del 2023 potrebbe essere anche solo una rassegna delle varie produzioni viste nel riabilitato ex mattatoio di viale Molise.

Per evidenti ragioni di spazio vogliamo ricordare almeno tre esempi. Ciam gioca sull’ironia creando “Underground circle” nel sottosuolo di uno dei padiglioni. Il core business dell’azienda di impianti di refrigerazione porta facilmente ad unire il biologico alimentare del gelato (in assenza) con la science fiction di un allestimento ipertecnologico (pura forma che diventa sostanza). Crafting Plastics invece si muove verso il sociale creando Sensbiom II (in foto), una collezione di reticoli di biopolimeri capaci di cambiare colore, ad evidenziare l’esposizione ai raggi UVR per segnalare quindi i cambiamenti in tempo reale nella radiazione solare. Per come è creato, tale oggetto va oltre la propria funzione, dato che potrebbe essere benissimo scambiato per un’opera d’arte da appendere ad un soffitto. Knitted Light di Osangmin Studio infine aumenta la gradazione artistica del design portandoci alla contemplazione di sculture create con filati elastici e flessibili usati per creare forme in 3D e lavorate a maglia. Il tutto a ridare le grazie del corallo marino, immagine che vuole ricordarci di preservare la bellezza del mondo naturale.

Il dentro/fuori dal mercato su cui si muove la giostra del Fuorisalone è testimoniato anche da visioni esterne ad Alcova, sempre più libere dal più rigido posizionamento marketing del Salone. Ricordiamo l’esplosione di colori vista in “the Creator’s Journey” di Janet Echelman per Kohler e la serie di video-ambienti “Opposites United” dello studio NAU di Seoul per Kia. Soprattutto la seconda fa veramente tornare alla mente la fuoriuscita del cinema dalle sale per diventare arredamento di spazi, atteggiamento mentale che usa il cinema per scoprire nuovi territori dell’immaginazione. Un pensiero che ci torna anche scoprendo la realtà virtuale usata da JCP Universe nello storico spazio del Teatro Arsenale, un modo per il brand di unire la propria collezione di arredi con il futuro prossimo venturo di complementi d’arredo del e per il metaverso.

Oltre i saloni
L’intreccio tra l’immaginario, la storia del cinema e il mondo reale ormai è continuo. Il design diventa il punto di traduzione qualunque sia l’oggetto o il progetto. Questo salta all’occhio anche solo vedendo il palco dei Rammstein a Padova che ci ricorda scenografie futuristiche come la città sotterranea di Metropolis di Lang (1927), ma anche vedendo l’assenza di scenografia (con esaltazione del low tech e intelligente uso del bluetooth) nello spettacolo teatrale Voci dal Bosco di Elena Borgna, molto in linea con le storiche indicazioni artistiche di Studio Azzurro. Ormai non serve più necessariamente lo schermo se siamo noi diventati quello schermo e quell’archivio di cinema. Fino ad un ricongiungimento (permesso dalla tecnologia) quasi sciamanico con la natura, fenomeno che sembra ritornare ad antiche culture di cui la visione magica del cinema è stata figlia ed è ora il parente più autorevole. Come crediamo bene di interpretare nel percorso di ricerca dell’ex fotografo Alessandro Vullo, grande scoperta del 2023 col suo libro “Sette Lune“.
Il design facilita la consapevolezza di uno sguardo nuovo, così come quella di un tipo di regista nuovo. Forse il regista del futuro sarà sempre meno un cineasta o un autore, quanto più un film-designer o un video-designer. L’attuale passaggio nell’arte dalla sfera cognitiva alla sfera emozionale può facilmente vedere una figura come quella del video-designer (digitale al quadrato) presentare consapevolmente oggetti audiovisivi sempre più vuoti di senso ma ricchi di sensazioni. Non si chiede allo spettatore di ragionare ma di esperire, come ci succede vedendo i video presentati da KIA, e come a fine anno ritroviamo presso lo spazio Nuovo Armenia di Milano dove il duo Polidoro/Fontana presentano la piccola interessante rassegna di VR “Inner Scapes” in cui degna di nota è la (questa volta carica di senso) produzione The Man Who Couldn’t Leave del taiwanese Singing Chen.
Vedendo come il cinema sia sempre più arredamento aspettiamo con curiosità il 2024.

(tutte le foto non specificate sono create da Zebra Crossing Webzine)

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