BFM40 – Incontro con Danis Tanović

Un incontro che spazia dai temi di geopolitica attuale, ai racconti personali suo proprio passato. Danis Tanović ripercorre il suo percorso cinematografico al Bergamo Film Meeting 40

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Quello con Danis Tanović è un incontro importante per il Bergamo Film Meeting, che segna anche un ritorno ad una realtà pre-pandemia. Il regista era infatti atteso come ospite nell’edizione del 2020, incontro purtroppo saltato proprio a causa del coronavirus. Ha modo di parlare di questo Tanović, rammentando come durante i primi giorni di difficoltà, in Bosnia, arrivassero soltanto notizia di New York e Bergamo, due delle città più colpite.

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Danis Tanović è nato a Zenica ma è cresciuto fin da piccolo nella capitale, Sarajevo. Quando il 5 aprile 1992 comincia l’assedio della città è un giovane in forze e in salute, che viene arruolato nell’esercito come corrispondente di guerra in quella che è la prima guerra interamente documentata in diretta nella storia contemporanea.

«Il lavoro come reporter mi ha influenzato, non può che essere così. Appena la guerra è finita sentivo la necessità di fare un film contro la guerra»

Da questa necessità è nato il suo lungometraggio d’esordio, No man’s land, con cui ha vinto l’Academy Awards come miglior film straniero nel 2001. Il film racconta di un soldato serbo e due soldati bosniaci che restano intrappolati insieme in una trincea contesa dai due fronti, bloccati da una mina nella “terra di nessuno”.

«Il storia del film si sviluppa come nel teatro greco, con la vicenda principale che si svolge nel proscenio (la trincea contesa), mentre i cori (la trincea bosniaca e quella serba) commentano la situazione da una posizione esterna».

La volontà di raccontare questa guerra fratricida nasce anche da esperienze personali. In proposito il regista racconta un aneddoto di qualche anno successivo alla conclusione alla guerra, di come ritrovando a Parigi un amico di lunga data, i due abbiano scoperto che per quattro mesi si sono ritrovati entrambi sullo stesso fronte, separati dalla manciata di metri che dividevano le trincee, a combattersi come nemici.

«Quella sera abbiamo pianto e riso dell’assurdità di quello che ci era successo, ancora adesso siamo amici e gli voglio bene»

Il film, visto in questo preciso momento storico, ha un valore ancora maggiore, riconosciuto dallo stesso regista. «Al termine di quella guerra pensavo che in vita mia non avrei mai più rivisto una guerra simile, non in Europa almeno». Il film, oggi, potrebbe benissimo essere rappresentato in Ucraina piuttosto che in Bosnia, la situazione è la stessa, con i fratelli costretti a uccidersi tra di loro per la volontà di criminali di guerra. Parlando della situazione geopolitica, Danis Tanović esorta ad abbandonare i principi delle destre nazionaliste e isolazioniste di Orbán e Le Pen, perché questo è il momento di unirsi tutti e dimostrarsi coesi. «In Serbia, alle ultime elezioni, si è scelto tra chi è più e chi è meno nazionalista». I personaggi come Putin «si sentono costantemente minacciati perché si credono speciali, migliori degli altri. Bisogna fermarli. Se gli alleati non avessero fermato Hitler nella Seconda guerra mondiale, in Europa ci sarebbe ancora il razzismo».

Il regista si è poi commosso rispondendo ad una domanda tra il rapporto dei suoi film e la città di Sarajevo, raccontando di come poco tempo fa abbia dovuto affrontare un periodo difficile quando il figlio è stato investito, entrando in coma per alcuni giorni. «Mi sono sentito circondato dall’affetto delle persone. Sarajevo è una città dura, ha imparato ad esserlo, è stata distrutta e bruciata numerose volte. Allo stesso tempo però è una città estremamente generosa. Come le persone che vivono li, possono sembrare dure ma sono pronte a farti sentire il loro affetto nel momento del bisogno». Scherza poi, chiamando la città una «sorella povera dell’Italia» e rammenta di come, nel mondo, ci siano soltanto due posti in cui si è sentito subito a casa come a Sarajevo: New York – ma non gli Stati Uniti, solo la città, ci tiene a precisarlo – e l’Italia.

L’incontro si è poi concluso con un confronto tra il suo primo film e il suo ultimo film (Deset u pola) e del suo rapporto con i collaboratori all’interno del film. La grande differenza tra il suo approccio all’inizio della carriera ed ora è che se prima pianificava tutto, creando lo script e lo storyboard, e li seguiva con precisione, adesso pianifica tutto, creando lo script e lo storyboard, ma poi li butta via, lasciando uno spazio all’improvvisazione e alle modifiche.

«Quando fai un film non sei tu per tuo conto, ci sono un sacco di persone che possono portare il loro contributo. Se sono rilassate, e se sentono di avere della libertà, possono arricchire il film, ma loro possono essere rilassate soltanto se tu (il regista) sei veramente preparato».

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