Doctor Strange nel multiverso della follia, di Sam Raimi

Il Marvel Cinematic Universe si lascia attraversare da un altro sguardo e trova il suo primo, vero, film d’Autore, in perfetto equilibrio tra le istanze del sistema e le forsennate invenzioni di Raimi

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Partiamo, ovviamente dall’elefante nella stanza.

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Sam Raimi è tornato a casa e lo ha fatto dalla porta principale. Mancava dalla galassia Marvel da quindici anni, dallo sfortunato Spider-Man 3 e dal mancato sequel. L’ecosistema Disney, invece, ha accolso, undici anni fa, il suo ultimo film finora, Il grande e potenze Oz, progetto fenomenale ma anche diffidente nei confronti di certe derive del cinema popolare. Ma erano, appunto, altri anni, sopratutto altre idee di cinema.

Se è indubbio, tuttavia, che Doctor Strange nel multiverso della follia rappresenti il simbolico abbraccio tra la Casa delle Idee ed uno dei suoi figli perduti, è altrettanto vero che il film conferma quanto il Multiverso, per la Marvel, sia tanto uno straordinario dispositivo narrativo che un efficace strumento di consenso popolare. È in effetti come se l’MCU, in ogni sua iterazione, voglia non soltanto prendere possesso dell’immaginario popolare, ma anche dare al pubblico ciò che il pubblico vuole, anche a costo di riparare un torto vecchio anni, conscio del fondamentale valore degli sguardi dei suoi spettatori, che deve essere costantemente avvinto dai racconti, dai prodotti, dagli schermi.

Eppure, il discorso sul multiverso finora è stato sviluppato solo in parte. Spider-Man: No Way Home ne ha saggiato la consistenza ma tutto si è interrotto prima di entrare nell’abisso.

Cosa ci si può fare, davvero? Fin dove ci si può spingere?

Non è forse un caso che il controllo sul multiverso, sia proprio lo spunto narrativo alla base del film di Raimi. Lo Stregone dovrà infatti difendere America Chavez, teenager capace di viaggiare tra gli universi ma non ancora in grado di padroneggiare i suoi poteri (come la Marvel, per certi versi…), da Wanda Maximoff, che dopo gli eventi di Wandavision vuole impossessarsi delle capacità della ragazza per potersi ricongiungere ai suoi due figli in un altro universo.

Multiverso della follia

Ma se America maturerà proprio attraverso lo scontro con le sue nemesi, per la Marvel l’età adulta è, ancora, una questione di sguardi.

Perché, se il Multiverso ha avuto inizio quando l’MCU ha osservato cosa ci fosse nel mondo “fuori di sé”, si è confrontata cioè con altri formati, altri generi, addirittura altri immaginari, il passo successivo è accettare di essere guardati, ripensati, da uno sguardo diverso dal proprio.

Doctor Strange nel multiverso della follia riporta in primo piano, proprio con Raimi, l’Autore, un’entità finora ben nascosta tra i fotogrammi di un sistema troppo complesso per lasciarla emergere davvero. Qui, beninteso, l’architettura generale rimane evidente ma, forse per la prima volta, riesce a dialogare con la regia in modo straordinariamente chiaro.

E allora a Raimi non rimane che tornare a essere, come in Oz, un alter ego del suo protagonista, un mago, un libero creatore di immagini e di mondi.

Doctor Strange nel multiverso della follia è evidentemente retto dalla sua idea di cinema, dal suo linguaggio, a tal punto da essere un affascinante e paradossale chimera, un blockbuster che ragiona come uno dei classici horror a “bassa fedeltà” del regista. Ma quello tra Raimi e l’MCU è, appunto, un confronto, un momento di crescita comune.

Così, mentre il film, si lascia guidare (e guardare) da Raimi, esplora e prende possesso delle inedite traiettorie verso cui la regia lo conduce, tra exploit da slasher e un’attenzione inusuale a elementi che, fino a oggi, l’MCU pareva aver lasciato in secondo piano: non solo la complessa interiorità dell’eroe, o il lavoro sui corpi e sulla violenza, ma anche certe modalità di raccontare gli spazi (è, ad esempio, un film di splendidi silenzi, questo Doctor Strange).

Ma, paradossalmente, il desiderio di crescita dell’MCU, più che da questo processo di apprendimento di altre vie per raccontare le sue storie, lo si intuisce da quanto, attraverso Raimi, il Marvel Cinematic Universe, abbia intuito di essere un’entità oltre la transmedialità, oltre i linguaggi convenzionali, oltre ogni tradizionale concetto di pop, centrale per l’immaginario contemporaneo qualsiasi cosa accada.

E allora davvero non c’è nulla da perdere ed il film può liberarsi di tutte le sue sovrastrutture, divenendo così un gioco forsennato di invenzioni visive e narrative comandato dallo sguardo di Raimi, che chiaramente non si pone limiti, a tratti addirittura deborda felicemente negli spazi del racconto quasi a gridare la sua presenza, spinge il film verso i territori dell’assurdo, si diverte ad autocitarsi e a spiazzare il pubblico e i suoi personaggi e addirittura trasforma in escrescenze grottesche alcuni dei rituali su cui si fonda il rapporto tra un film Marvel e gli spettatori.

Doctor Strange nel multiverso della follia è il primo film veramente d’Autore della Marvel ma la speranza è che questo non rimanga un episodio isolato, una finestra su uno dei tanti cinecomic possibili ma sia piuttosto l’inizio di un’appassionata esplorazione, da parte della Marvel, del potere del suo linguaggio.

 

Titolo originale: Doctor Strange In The Multiverse Of Madness
Regia: Sam Raimi
Interpreti: Benedict Cumberbatch, Benedict Wong, Elizabeth Olsen, Chiwetel Ejiofor, Xochitl Gomez, Rachel McAdams
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Durata: 126′
Origine: USA, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
2.89 (9 voti)
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