FILM IN TV – "Reazione a catena. Ecologia del delitto", di Mario Bava

reazione a catena
Questa reazione a catena di morti, coreografata con l’istinto di un balletto fuori dal tempo e da ogni scuola, è un altro marcato segno della dissipazione baviana operata all’interno dei generi thriller e horror e assume i toni seri di una dichiarazione sociologica: la morte è innaturale nel suo concatenarsi quanto la naturalezza che la presiede. Articolo tratto dall'ebook Mario Bava. Il rosso segno dell'illusione (Ed. Sentieri selvaggi/goWare). Martedì 11 giugno 0re 22.45 Horror Channel

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La torbida superficie dell’acqua è già quella imperscrutabile del male nei titoli di testa, percorsa da mille riflessi di luce ingannevoli e accarezzata da una suadente musica lounge, da ampie panoramiche sui pontili in abbandono. Tutto cancellato dal movimento successivo della macchina da presa che si astrae, frammenta i riposanti piani dello sguardo seguendo gli ultimi svolazzi di una mosca che infine cade nello specchio scuro, appena ritratto con tanta ossimorica prosaicità poetica.

Una feroce serie di omicidi, senza alcun plausibile movente, avviene presso “La Baia”, luogo isolato ed apparentemente inaccessibile. In realtà sotto le uccisioni ci sono biechi motivi economici, dal momento che il posto è soggetto ad una grande speculazione edilizia.
Bava impone subito la sua visione entomologica dell’uomo – riprendendo un filo già dipanato in Il rosso segno della follia – e rinnova i punti cruciali della sua arte visiva, centrata sulla sfarfallante alternanza percettiva di allucinazione e realtà, ambienti quasi stagni uno all’altro che si rubano la scena in un gioco al (salutare) massacro della grammatica estetica e narrativa; come nella struggente morte della contessa Donati, preannunciata dal décor di rossi e bianchi della villa, in cui la ruota della carrozzella è come un freddo occhio metallico le cui razze sono palpebre che scandiscono tempo e vita come lancette: il loro arrestarsi coincide con l’ultimo rantolo della donna strangolata. Una morte che ci sconvolge quando Bava, imperturbabile, si alza con la macchina da presa nel movimento impossibile dai guanti neri al volto dell’assassino, punito poco dopo per quest’ostentato palesarsi. La stessa reazione a catena di morti, coreografata con l’istinto di un balletto fuori dal tempo e da ogni scuola, è un altro marcato segno della dissipazione baviana operata all’interno dei generi thriller e horror e assume i toni seri di una dichiarazione sociologica: la morte è innaturale nel suo concatenarsi quanto la naturalezza che la presiede.

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reazione a catenaCinema pulsionale di abbaglianti scarti/salti dunque: dal luccicante appartamento dove Ventura lascia la segretaria/amante al primissimo piano sul pescatore Simone che addenta il polipo appena pescato, dai due giovani con tedesche al seguito che giungono alla baia con scanzonato frastuono hippie ai tarocchi malefici della Betti, acconciata come Medusa e avvolta da una stregante musica tribale… E con soggettive di magnifica inutilità: quella dell’assassino sulla contessa destabilizza perché ci mostra dopo ciò che siamo abituati a vedere prima, castrando la sequenzialità voyeuristica per ottenere la massima spoliazione/evidenza dell’orrore ri-mostrato. E, quando gli omicidi si addensano, lo zoom baviano e soprattutto la compenetrazione tra fuoco e fuori-fuoco accelera, coagula come il sangue sui corpi delle vittime, incubando quel terrore che si chiama spaesamento, veicolato nel trapasso tra realtà (fuoco) e distanziamento da essa (fuori-fuoco), amalgamati nel crepuscolo infinito che permea la pellicola. Nella celebre doppia morte dei due giovani a letto, la disturbante moralità negata/rilanciata dai loro gemiti pseudo-orgasmici quando sono trafitti all’unisono, invischia eros e thanatos: intenzione alta di una visualizzazione bassa secondo intrecci di registro tipici del Bava più puro, quello che sputa fertilmente, senza timori reverenziali, nel piatto in cui mangia. Così come il Simone/San Sebastiano, trafitto con la lancia e ripreso con zoom all’indietro, appoggiato al tronco in plastica e pittorica postura, inverte questo modello: intenzione bassa, visualizzazione alta. Folgorante e celebre il colpo d’ala finale senza alcuna catarsi: i più spietati assassini trovano la morte (già magnificamente annunciata dall’inquadratura mortuaria dall’interno del bagagliaio) per mano di coloro che avrebbero ereditato il sanguinante frutto economico delle loro efferatezze: i propri figli, che ritornano a immergersi con spensierata, agghiacciante distensione lirica nel bozzolo/natura che li ha generati.

Articolo tratto dall'ebook
Mario Bava. Il rosso segno dell'illusione (Ed. Sentieri selvaggi/goWare)


Regia: Mario Bava
Interpreti: Claudine Auger, Luigi Pistilli, Laura Betti, Leopoldo Trieste
Durata: 82'
Origine: Italia, 1971
Martedì 11 giugno ore 22.45 Horror Channel

 

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