Gli attacchi rivolti alla società di consulenza videoludica sembrano configurare una versione 2.0 della guerra culturale e ideologica esplosa dieci anni fa all’interno del settore
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“È stato qualche mese prima dell’uscita di Suicide Squad (Suicide Squad: Kill the Justice League). Ho iniziato a notare degli schemi in alcuni giochi, come donne brutte e personaggi maschili indeboliti per far sembrare più forti quelli femminili. Il primo gioco a cui Sweet Baby Inc. ha lavorato in cui ho notato questo genere di cose è stato God of War: Ragnarok. Penso che chiunque abbia giocato a God of War III trovi davvero strano che Kratos decida di risparmiare Thor per poi dire: ‘Dobbiamo essere migliori’. Semplicemente non si adattava al personaggio“.
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Con queste parole, all’interno di un’intervista rilasciata a Geeks and Gamers lo scorso 8 marzo, l’utente brasiliano Kabrutus ha raccontato la nascita di Sweet Baby Inc. Detected, Steam curator da oltre 300mila seguaci che si autodefinisce “A tracker for games involved with Sweet Baby Inc.”, azienda canadese fondata nel 2018 con sede a Montreal che si occupa di consulenza e sviluppo narrativo in ambito videoludico, con l’obiettivo di “rendere i giochi più coinvolgenti, più divertenti, più significativi e più inclusivi per tutti”. Una pagina, anzi una vera e propria congregazione, impegnata dunque a screditare e colpire il lavoro di SBI, a suo dire colpevole di contribuire a promuovere la famigerata cultura woke nell’industria dei videogiochi. Uno scontro iniziato in data 30 gennaio 2024 e segnalato da più parti come centro propulsore del cosiddetto Gamergate 2.0.
Ma che cosa si intende con Gamergate? Al pubblico generalista, profano del settore, il termine potrà forse dire poco. Ma la comunità di videogiocatori – quantomeno nelle sue frange più appassionate e aggiornate – ricorderà di sicuro il triste fenomeno che, esploso nell’agosto del 2014, travolse diverse donne dell’industria, tra cui la sviluppatrice Zoë Quinn e la blogger e fondatrice di Feminist Frequency Anita Sarkeesian. In quell’occasione la stessa Zoe Quinn, accusata dall’ex fidanzato Eron Gjoni (programmatore) di aver prestato favori sessuali al giornalista Nathan Grayson in cambio di una di lui recensione positiva di Depression Quest – gioco testuale sviluppato dalla donna l’anno precedente – era stata vittima di una serie di attacchi online organizzati proprio sotto l’hashtag #Gamergate, poi allargatisi a macchia d’olio fino a configurare una vera e propria campagna all’insegna di posizione sessiste e anti-progressiste, tipiche dell’ambiente alt-right americano.
Il medesimo sottobosco culturale che dieci anni fa generò questa “guerra ideologica” è sostanzialmente alla base delle istanze portate avanti da Sweet Baby Inc. Detected che, forse ispirato dal video intitolato Sweet Baby Inc: Why Modern Gaming has Become Woke Political Garbage (pubblicato dallo youtuber Griffin Gaming il 17 novembre scorso), accusa di fatto la società di consulenza di costringere gli sviluppatori, perfino tramite minaccia, a lavorare nell’ottica di una forzata iper-inclusività dei propri prodotti, anche e soprattutto con l’obiettivo di ottenere migliori punteggi ESG – nonché maggiori possibilità di finanziamento.
La teoria complottista portata avanti da Kabrutus & Co. – la cui lista di titoli videoludici sconsigliati su Steam comprende al momento 18 titoli – trova uno dei suoi capisaldi nella riproposizione di uno spezzone del discorso tenuto dalla co-fondatrice di SBI Kim Belair in occasione della Game Developers Conference del 2019. Frammento in cui la dirigente sembrerebbe consigliare agli sviluppatori di terrorizzare i propri team marketing secondo necessità “con la possibilità di ciò che accadrà se non vi daranno ciò che volete”.
La frase di Belair, chiaramente estrapolata e decontestualizzata con fini propagandistici, fa naturalmente parte di una dichiarazione più ampia e dalle differenti implicazioni, il cui significato ultimo è probabilmente racchiuso nelle poche righe che seguono la citazione incriminata, dove si legge: “Lo dico spesso per scherzo, ma in realtà è molto vero, perché se iniziate a considerare le persone che si occupano dei giocatori e del pubblico, e che hanno a che fare con l’attenuazione dei danni e con il mantenimento di un sentimento positivo intorno al loro gioco, c’è un valore genuino che potreste imprimere in loro”.
A ulteriore conferma dell’infondatezza della polemica può poi essere utile riportare anche alcune dichiarazioni di elementi esterni a SBI, subito intervenuti in difesa della società. Dalla frase postata sul proprio profilo X dalla sviluppatrice Christina Pollock (“In tutta la mia carriera non ho mai visto nessuno fare pressione su uno sviluppatore per rendere un personaggio più strano o meno bianco. Tuttavia, ho visto molti casi di sviluppatori costretti a cambiare i loro personaggi per renderli etero e/o bianchi”) alla presa di posizione netta del direttore di Alan Wake 2 Kyle Rowley in merito al rumor secondo cui il cambio di etnia del personaggio di Saga Anderson sarebbe stato forzato da Sweet Baby (“Non è assolutamente vero”). Senza contare il sostegno dimostrato da diversi clienti dell’azienda, confermato anche dalle parole del narrative designer di SBI Chris Kindred: “Gli studi con cui stiamo attualmente lavorando ci hanno contattato e offerto il loro supporto, dicendo: ‘Ehi, vediamo cosa sta succedendo online e sappiamo solo che siamo dalla tua parte”.
Di fronte a uno scenario di questo tipo, il reportage pubblicato su The Verge dal giornalista di settore Ash Parrish, momentaneamente “infiltratosi” nel gruppo Discord al centro di questo secondo Gamergate, non è che la conferma della composizione politico-culturale di SBID. Non a caso “gli argomenti e le discussioni osservati si rifanno tutti al movimento reazionario di destra che ha dominato il panorama politico sin dalla presidenza di Barack Obama” e il server è “pieno di meme razzisti, insulti sessisti e abilisti, messaggi antisemiti e incitamenti alla violenza contro le donne e le persone di colore”.
D’altronde, prosegue il reporter, “allora come oggi molti giovani bianchi sono diventati sempre più alienati da un mondo che ritengono li abbia lasciati indietro. E una presunta de-enfasi dei maschi bianchi nella cultura pop a favore delle donne, delle persone di colore e delle persone queer ha esacerbato questa alienazione, soprattutto nei videogiochi”.
Una condizione che, al di là delle ipotesi relative all’evolversi del fenomeno e in attesa forse di una sua terza (prevedibile) futura ondata, coinvolge in realtà l’intero settore dell’audiovisivo. L’aggressività becera rivolta nei confronti de Gli Anelli del Potere e il recente review bombing riservato alla terza puntata di The Last of Us– a causa delle modifiche in chiave queer avvenute nel processo di adattamento da videogame a esperienza seriale – non ne sono che le ultime tristi dimostrazioni.
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