Il signore degli anelli – Gli anelli del potere, di J.D. Payne e Patrick Mckay

Con lucidità modella la sua progettualità iconografica sulle referenze estetiche ed emotive dei film di Jackson. Ma l’ambiguità con cui guarda al canone tolkieniano ne limita ogni ambizione. Su Prime

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Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli, e nel buio incatenarli”. Basterebbe riflettere su una delle immagini conclusive de Gli anelli del potere per sintetizzare l’insieme delle tensioni su cui la prima stagione struttura in toto il suo disegno comunicativo: un uomo incappucciato è inquadrato sotto le pendici oscure del Monte Fato, mentre il mondo è in procinto di esplodere. Tuoni, lampi e saette squarciano di traverso il cielo, sullo sfondo di un vulcano che continua a riversare lava sul territorio circostante. Eppure l’uomo non si ferma. Al contrario, avanza elettrizzato verso il disastro. Il suo disastro. Nulla potrà fermare la sua ascesa, specialmente adesso che ha mostrato a tutti le sue reali intenzioni. E la realtà di cui sopra non è solo il principio del racconto in questione. Ma il termine di una (macro)storia da cui la serie non può fare a meno di trarre ogni codice espressivo. Perché la Mordor che vediamo nascere nel sesto episodio, e bruciare di energia vitale alla fine dell’ottavo, è il filo nascosto che lega fra loro più immaginari e dimensioni estetiche. La chiave di accesso di una narrazione iper-testuale, che muove i suoi intrecci tra le pieghe novecentesche dei libri di Tolkien, e le rappresentazioni visuali di cui il cinema ci ha reso partecipi agli albori del nuovo Secolo.

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Si ritorna allora a quelle tensioni cui si è accennato all’inizio, dalle quali ogni discorso de Gli anelli del potere, che sia esso estetico o produttivo, non può assolutamente prescindere. A monte di tutto risulta evidente la volontà degli showrunner – e degli Amazon Studios in primis – di strutturare la narrazione della serie su due binari paralleli, inquadrati secondo una logica sincronica: la citazione inter-testuale, principio e origine di ogni discorso espressivo, si intreccia così con il superamento del suo stesso stigma citazionistico, portando il racconto a rinegoziare la traduzione di atmosfere, immaginari, referenze e codici passati verso gli inediti lidi della serialità. In direzione cioè di quella autonomia estetica che consente al prodotto di rivolgersi a nuove tipologie di pubblici, sulla base della sua stessa indipendenza testuale. In questo modo non solo si recuperano le iconografie o le figurazioni che abbiamo imparato a conoscere ed ad amare dei testi passati. Ma le si connettono con una strategia produttiva che necessita del supporto delle audience generaliste per giustificare l’enorme investimento economico di partenza. Ne risulta così un approccio propriamente frastagliato, per i modi e le metodologie con cui traghetta la storia tra aspettative e orizzonti mediali diversi. E che sarà, come vedremo, croce e delizia di tutte le istanze comunicative della serie.

Nel raccontare l’ascesa dell’Oscuro Signore Sauron, e le origini dell’Alleanza tra elfi e uomini che porterà alla sua prima caduta, Gli anelli del potere non può che rifarsi al passato, tanto a quello letterario – e quindi alle “storie ufficiali” dell’enciclopedia tolkieniana – quanto a quello di matrice estetica (le trilogie cinematografiche di Peter Jackson). Da ogni angolo la si guardi, la serie non ha alcuna intenzione di smarcarsi dai codici rappresentativi dei film, malgrado la lontananza temporale che la separa dagli eventi de Lo Hobbit e de Il signore degli anelli. Al contrario, rimodella la sua progettualità iconografica proprio a partire dalle referenze visuali (ed emotive) con cui l’universo di Tolkien è stato rimedializzato sul grande schermo nel 21º Secolo. Risemantizzandone gli immaginari con grande lucidità e coerenza scenica. Al punto che ogni scenario sembra urlare la sua appartenenza ad un mondo familiare, teso tra le coordinate spaziali del passato cinematografico, e le geografie di un avvenire già vissuto. Solo così può ri-orientare il fandom storico all’interno di un universo che sa comunque di nuovo, e direzionare il suo investimento emotivo verso le versioni “giovanili” di personaggi-icone come Galadriel, Elrond o Gandalf. È in questa direzione che Gli anelli del potere trova l’equilibrio giusto tra citazionismo e autenticità diegetica, disseminando la narrazione di falsi depistaggi che sfidano le aspettative dei vecchi pubblici, e negoziano quelle dei nuovi. Ma il pericolo di ritrovarsi incastrato tra più orizzonti si annida in ogni angolo del racconto. E la serie non sempre è in grado di gestirne le ramificazioni più elusive.

 

Non appena il racconto cerca di districarsi dalle maglie del passato, è lì che ritroviamo tutta la sua incertezza di fondo. A volte Gli anelli del potere sembra fin troppo ambiguo nel relazionarsi alla materia d’origine, dando l’impressione di soffrire la sua configurazione da prequel, quasi come se ne limitasse le aspirazioni. Diversamente da un prodotto come House of the Dragon, che disinnesca sin da subito il senso di derivatismo per farsi pietra angolare di un universo, la serie Amazon non presenta la medesima vocazione al rischio, o la stessa trasparenza verso la testualità passata. La volontà di superare lo stigma della derivazione si scontra, paradossalmente, con la ricerca di una continua legittimazione nel canone tolkieniano. A cui non sempre risulta (o desidera) rimanere fedele. È allora nella reiterazione di questi atteggiamenti ambigui, dove il confine tra tradimento e fedeltà è perlopiù sfocato, che bisogna ritrovare il potenziale (in)espresso di una serie comunque centrale della nostra contemporaneità. Di un testo che, nonostante le imperfezioni, potrebbe ancora tracciare le vie future del fantasy televisivo.

Titolo originale: The Lord of the Rings: The Rings of Power
Regia: J.A. Bayona, Wayne Che Yip, Charlotte Brändström
Interpreti: Morfydd Clark, Robert Aramayo, Ismael Cruz Cordóva, Lenny Henry, Nazanin Boniadi, Charlie Vickers, Joseph Mawle, Benjamin Walker, Charles Edwards, Owain Arthur, Lloyd Owen, Cynthia Addai-Robinson, Daniel Weyman, Maxim Baldry, Dylan Smith, Markella Kavenagh
Distribuzione: Amazon Prime Video
Durata: (stagione 1) 8 episodi da 70′
Origine: USA, Nuova Zelanda, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4
Sending
Il voto dei lettori
2.38 (8 voti)
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