Il giovane Karl Marx, di Raoul Peck

Il racconto disegnato da Peck e Bonitzer raccorda le esigenze dell’entertainment, le regole mainstream con la coerenza del discorso, la fedeltà storica e soprattutto politica al pensiero marxiano

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Ritornare alla realtà. Raoul Peck indica questa strada, come ci raccontava un anno fa a proposito di I’m Not Your Negro e Il giovane Karl Marx, doppietta incendiaria della Berlinale 67. “Oggi tutto è intrattenimento e puoi fare la rivoluzione su Twitter. Questa è l’idea, ma non lo facciamo, non possiamo farlo davvero. Si tratta di tornare alla realtà”. Per comprendere in concreto il modo in cui funziona il mondo, quella “società capitalistica che non è mutata negli ultimi cento anni” saldando sulla base della sua struttura economica i modi stessi di ragionare, produrre e consumare idee, tutte quelle strategie di discorso capaci di incidere nella nostra anima e di determinarne i percorsi, gli orizzonti di bisogno e di desiderio. Idee e strategie che non possono che ritradursi nel “piano reale” delle dinamiche concrete, dei rapporti di forza e produzione. A chiusura del cerchio e, forse, a dimostrazione del fatto che il sacrosanto rovesciamento materialistico operato da Marx rispetto all’idealismo hegeliano è stato anche una “forzatura” politica, che necessariamente doveva attaccare lo Spirito del tempo e affermare il primato della base economica su tutto il mondo terzo (o quarto) del pensiero e delle teorie. Anche a discapito di una visione più complessa.

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Del resto “sarà per me benvenuto ogni giudizio di critica scientifica”, scriveva Marx a prefazione del Capitale. Ammettendo, implicitamente, tutti i possibili limiti del suo pensiero, quelli evidenti e quelli nascosti, la perfettibilità delle analisi e, soprattutto, delle predizioni, lasciando al futuro il compito di correggere il tiro, di riempire gli spazi vuoti dell’utopia e dimostrare nella carne viva della storia la possibilità rivoluzionaria delle idee. Ecco, con grande coerenza, Peck racconta proprio l’ossessione critica di Marx, quella sua intransigente e maniacale esigenza di porsi sempre al centro del conflitto, nel caos dei dibattiti e dei punti di vista. In particolare nei confronti dei possibili “alleati” nella critica al sistema dominante, i pensatori socialisti, gli anarchici, gli utopisti, Proudhon, Weitling, Bakunin, Blanc. Perché, prima ancora delle alleanze, ciò che conta è un’analisi scientifica che inquadri correttamente le dinamiche della realtà, come una specie di diagnosi medica. E individuare e compattare la posizione di classe, contro la tentazione dell’universalismo egualitario. Ma il Marx di Peck, più che un austero e ascetico studioso, è una specie di piantagrane scapigliato, in esilio e a corto di denari, con la famiglia da sfamare eppure poco incline al compromesso, in perenne lotta intellettuale e reale con il mondo, a cominciare dalla redazione della Gazzetta renana, il giornale con cui collabora. Nel 1843, rifugiatosi a Parigi con la moglie Jenny von Westphalen, nobildonna che ha sposato la causa rivoluzionaria, conosce Friedrich Engels grazie a Arnold Ruge, che sta dando vita ai Deutsch-Französische Jahrbücher (Annali franco-tedeschi). È l’incontro decisivo, nonostante le differenze di estrazione e di condizione economica. Engels è figlio di un ricco industriale del cotone, con stabilimenti anche a Manchester. E proprio in Inghilterra, a contatto diretto col mondo operaio, comincia a scrivere sulle condizioni di vita dei lavoratori. Per Marx i dati raccolti da Engels diventano una piattaforma fondamentale di analisi economica. E trova un amico sincero che gli sarà anche di sostegno economico negli anni più bui. Fino al fatidico Manifesto del Partito Comunista del 48, il momento spartiacque a cui si ferma il film di Peck.

Storia pura e semplice da biopic, si direbbe. Ma la questione fondamentale è come raccontare questa avventura straordinaria che è fatta innanzitutto di pensiero. Come riportare sul piano della realtà, della vita vissuta, il dibattito, la Babele delle lingue (tedesco, inglese, francese) e delle teorie, il rigore matematico della scienza economica e il mistero arcano della fede utopica. Un cinema che realizzi le idee. Come quello sognato e insegnato da Rossellini. E non è un caso che la prima traccia seguita Peck sia stato proprio il trattamento incompiuto di un progetto di Rossellini su Marx. Traccia abbandonata, forse per impossibilità, forse per fraintendimento. “Rossellini era molto didattico… Io credo che le masse siano più sottili, più intelligenti”. Fatto sta che la strada percorsa qui è più semplice e lineare. Il racconto disegnato dalla sceneggiatura di Peck e Pascal Bonitzer (non a caso altro acuto teorico e critico) raccorda le esigenze dell’entertainment, le regole mainstream dell’industria (una coproduzione europea che coinvolge vecchi combattenti come Robert Guédiguian, un cast stellare che va da August Diehl a Olivier Gourmet fino al “nostro” Ivan Franek) con la coerenza del discorso, la fedeltà storica e soprattutto politica al pensiero marxiano. Senza cedere al compromesso della superficialità spettacolare. E così la ricostruzione segue le linee di una commedia bromance veloce e divertente, a tratti ai limiti dell’irriverenza giutsamente anarchica (l’inseguimento a rotta di collo con la polizia, Engels preso a pugni dai suoi amici operai, senza tanti complimenti). Fino a un finale quasi da freeze frame anni ’90, con i due protagonisti che ridono dopo aver visto trionfare la loro mozione che trasforma la Lega dei Giusti nella Lega dei Comunisti, al motto di “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”. Il rischio, calcolato, è di trasformare Marx in un’icona pop, in linea con la rivendicazione di eterna “giovinezza” del suo pensiero e della sua pratica politica. Senza però la consapevolezza della straordinaria intuizione di Martone nel raccontare Leopardi. Del resto, lo abbiamo già detto, oggi più che la rabbia guarda al passato e gli eroi della rivolta vengono dalla Storia. E Peck ha il merito di recuperare il nome fondamentale, probabilmente. E lo rimette in circolo nel vortice del presente.

Ovviamente la rivoluzione qui non riguarda la forma. Seguendo il vecchio principio di poter adattare il discorso a un pubblico più ampio possibile, la fiction chiude e salda la struttura. Sfiora la liscia indifferenza di una confezione media, ben al di qua delle vertigini dei testi aperti dell’encliclopedia rosselliniana. E forse con una complessità minore rispetto al trascinante I’m Not You Negro, a quelle forme del documentario che sono sempre una sfida al reale. Ma l’immagine, anche la più convenzionale, non è mai innocente. Peck lo sa bene. E perciò il suo 48 comunista ha la forza di un Manifesto. È un grido di unione e di lotta.

 

Titolo originale: The Young Karl Marx

Regia: Raoul Peck

Interpreti: August Diehl, Stefan Konarske, Vicky Krieps, Olivier Gourmet, Hannah Steele, Alexander Scheer, Hans-Uwe Bauer, Ivan Franek

Distribuzione: Wanted

Durata: 118′

Origine: Francia/Belgio/Germania, 2017

 

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