Il tempo rimasto, di Daniele Gaglianone

Il tempo passato e quello che resta, è da questa voragine esistenziale che emerge un appassionatissimo documentario di corpi vivi, terribilmente veri. Fuori Concorso/L’incanto del Reale

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Il tempo passato e quello che resta, è da questa voragine esistenziale che emerge il bellissimo documentario di Daniele Gaglianone (La mia classe, Ruggine, Nemmeno il destino), che ormai figura tra gli autori italiani più apprezzati e rincorso dai festival di settore, trovando il giusto e meritato riconoscimento anche nel pubblico non propriamente cinefilo.

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Ancora una volta sembra di vivere con i protagonisti tra i banchi di una scuola, la scuola della vita e i corpi invecchiati e segnati dalle circostanze, non sono altro che involucri racchiudenti in fondo occhi di bambini, passioni mai assopite, anime pure e nude, lacrime mai definitivamente asciugate. A volte gli stessi protagonisti sembrano trasformarsi in scenografi di sé stessi, ricostruendo esperienze trascorse, facendole rivivere come se tutti fossimo catapultati in un eterno presente. Ascolto, incontro, simbiosi, attraversando nostrani luoghi lontani e mai così prossimi, intersecando dialetti diversi, spigolosi, ostici, ma terribilmente chiari, come se la parola in se, non solo arrivi a riconoscere la propria funzione, addirittura sembra tendi a coronare le immagini di un’aura magica, in alcuni frangenti presepiale. Presepiale nel senso di luogo di sospensione spazio/temporale, proprio quello che il regista persegue e raggiunge, facendoci liberare lo sguardo in uno spazio appunto nitido, ma all’unisono indefinito. Sulla soglia del rimorso, del rancore, degli anni duri e difficilmente raccontabili, lacrime e sangue si mescolano con il coraggio e l’ironia, mai dome.

La riflessione apparentemente sulla vecchiaia è in realtà un tuffo senza freni nello specchio della propria immagine solo apparentemente attraversata dai solchi degli anni. Ma qui bisogna andare oltre, è vero rappresentare la vita al cinema non può che fare i conti con la finzione, a prescindere, nonostante ci si sforzi di “nascondere” il peso della macchina. Gaglianone non ha bisogno di nascondere, perché i suoi corpi sono sempre vivi, terribilmente veri da soverchiare con naturalezza il virtuale e il virtuosismo. Questa nuova classe della terza età smargina stavolta i confini più prettamente cinematografici, non tanto quelli tra realtà e finzione, abbatte per certi versi i muri, senza farsi invadere da inaspettati eventi esterni, semplicemente, ancor più, se fosse possibile, lasciandosi travolgere dalle storie, dai volti, che non certo risolvono l’atavico e devastante enigma del ruolo di chi dirige, di quanto e quando può entrare in campo, ma certamente induce (deduce un pò meno..) noi tutti a scivolare nel flusso ineguagliabile del dentro/fuori.

 

Regia: Daniele Gaglianone
Distribuzione: ZaLab
Durata: 89′
Origine: Italia 2021

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
3.4 (5 voti)
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