Janet Planet, di Annie Baker

Opera prima dal passo lento e silenzioso con al centro due protagoniste eccellenti. Esordio con A24 per la drammaturga vincitrice del Premio Pulitzer. BERLINALE74. Panorama

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Una ragazza corre in un campo deserto alle prime luci dell’alba mentre in lontananza si percepisce soltanto il frinire dei grilli. Raggiunta una piccola casetta di legno, la ragazza solleva la cornetta di un telefono a gettoni: “Mi uccido. Se non vieni a prendermi subito mi uccido”. Non proprio la battuta d’apertura che ci si poteva aspettare ma estremamente azzeccata per presentare in un attimo la piccola Lacy (Zoe Zigler), una ragazza di 11 anni che sembra essere uscita da una striscia di Peanuts di Charles M. Schultz. Lacy sa benissimo come ottenere quello che vuole e in quel momento il suo desiderio più grande è fuggire dal campo estivo per trascorrere l’estate con sua madre Janet (Julianne Nicholson). Janet Planet segna l’esordio cinematografico con A24 di Annie Baker, autrice teatrale di fama internazionale che ha riscosso particolare successo per i suoi spettacoli andati in scena nell’Off Broadway che le hanno fruttato diversi Obie Award oltre al Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 2014 per The Flick.

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Il pianeta di cui parla il titolo è Janet, una splendida Julianne Nicholson nei panni di una mamma single e agopunturista intorno a cui la piccola Lacy orbita in maniera ossessiva. Non c’è nulla di sbagliato o insolito nell’adorazione che la ragazza prova nei confronti della madre, è qualcosa di piuttosto comune a quell’età. Lacy vuole semplicemente avere sua madre tutta per sé, senza condividerla con nessuno. Janet Planet si divide in tre sezioni ben distinte da sei cartelli che segnalano l’entrata e l’uscita di tre personaggi nella vita di Janet. Tre individui che finiranno prima o dopo per diventare rivali della piccola Lacy, la quale non perderà occasione per palesare la propria ostilità. Il primo a fare la propria entrata in scena è Wayne, il burbero fidanzato di Janet che non apprezza l’indiscrezione della ragazzina, poi è il turno di Regina, una vecchia amica ora parte di una pseudo setta new age, e infine Avi, il leader della comunità ed ex di Regina. Si tratta di un’estate di transizione per i personaggi messi in scena da Baker, un momento di mezzo, di attese e inquietudini, ma anche di riflessioni.

Janet Planet procede per episodi o vignette, senza scene di particolare importanza e significato, spesso slegate l’una dall’altra e senza un rigido ordine cronologico. È l’accumulo a creare significato, sono gli sguardi di Lacy o il linguaggio del corpo di Janet a raccontare ciò che non viene esplicitato a parole. Osserviamo il mondo con gli occhi di una bambina e ci soffermiamo su alcuni dettagli apparentemente piccoli e insignificanti. Non c’è alcuna scena madre e nessun particolare colpo di scena, il momento più drammatico probabilmente è la scoperta di una zecca tra i capelli di Lacy. Questo insolito incedere lento e silenzioso che caratterizza il film avrebbe potuto appesantire la narrazione ma i personaggi sono così reali e i dialoghi così arguti e imprevedibili da creare un ritmo tutto loro. Nella prima parte l’autrice decide di affidarsi quasi del tutto alle espressioni  della piccola Zoe Zigler – esordio impressionante – nella seconda la madre inizia ad aprirsi e i dialoghi si fanno più densi e serrati, soprattutto nei momenti notturni prima di addormentarsi. I movimenti di macchina sono rarissimi e le inquadrature piuttosto larghe; la regista riesce a non cadere in facili estetismi (spesso segno distintivo delle opere A24) mantenendo una forma teatrale che facilita ed evidenzia le interpretazioni attoriali.

L’opera prima di Annie Baker racconta del pianeta Janet e del satellite Lacy in modo tenero e divertente, non sempre in maniera avvincente e per qualcuno forse persino poco interessante, ma chi l’ha detto che un film deve esserlo per forza?

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
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