La Carovana Bianca, di Artemide Alfieri e Angelo Cretella

Al Laceno d’oro 2021 dopo il passaggio al Festival dei Popoli, un documentario che racconta le conseguenze della pandemia su alcune famiglie di circensi costrette per la prima volta a stanziare

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Tra i titoli del Laceno d’oro 2021, dopo il passaggio alla 62° edizione del festival dei popoli, troviamo La Carovana Bianca. Si tratta di un film sospeso tra il documentario e il “cinema del reale”, girato da due registi italiani che, dopo una lunga gavetta come montatori e autori di piccoli cortometraggi, approdano a un lungometraggio che non dimentica l’attualità pandemica, ma anzi parte propria da essa come situazione scatenante per sviluppare il documentario.

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La crisi sanitaria ha prodotto una serie di conseguenze particolarmente gravose soprattutto verso quei settori economicamente già fragili. Partendo da questa situazione, i due registi hanno elaborato una riflessione che si può estendere alle condizioni di milioni di persone costretti al confinamento. Il documentario, infatti, mostra la vita di quattro famiglie impegnate in ambito circense, che portano il loro spettacolo in giro insieme alla loro “carovana” di animali, tendoni, roulotte, e così via. Tuttavia la loro vita è stata stravolta dall’arrivo dell’emergenza pandemica che ha sospeso le loro attività, costringendo i membri dei vari nuclei familiari a stanziare alla periferia di Napoli e a trovare nuove occupazioni “stabili”. Lo spazio delimitato in cui coabitano le famiglie, accentua il carattere simbolico dell’ambientazione che si presta particolarmente bene a esplicitare questa dimensione in cui il tempo pare essersi fermato.

Le famiglie vengono seguite dalla macchina da presa mostrando tutte le azioni di una quotidianità reinventata: dai bambini che seguono le lezioni scolastiche da casa, a una delle donne che cerca lavoro in un bar, passando per il lavoro di manutenzione delle varie strutture del circo. Questo approccio alla regia, di matrice neorealista, che sonda le viscere della realtà più “popolare” con l’intento di osservare ciò che accade con spirito distaccato, è la componente centrale di un film che mostra un contesto, quello circense, del tutto prosciugato dalla sua identità festosa, in cui i segni di ciò che era una volta sono ricordati dalle insegne illuminate, dalle vhs che i protagonisti riguardano in tv, e da un finale che sembra far rivivere di speranza un luogo che si sta spegnendo sempre di più.

Le donne e gli uomini sono spinti da una gran voglia di fare. Proprio per questo, risulta interessante vedere come in quasi tutta la durata del film, i momenti in cui l’operatività presta il fianco a momenti di riflessione sulla situazione pandemica tra i vari membri delle famiglie sono quasi del tutto nulle. Sembra infatti che le notizie del mondo esterno, mettendo da parte un momento in cui si mostra un telegiornale, non riescano a penetrare all’interno di quello spazio limitato, o come se il fuori campo non riuscisse a irrompere quasi mai sulla scena.

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