Miss Marx, di Susanna Nicchiarelli

La Nicchiarelli non dà tregua alla sua attrice, e restituisce l’idea del corpo femminile destinato a non trovare vera libertà di movimento. Ma il film soffre l’intuibilità delle sue svolte narrative.

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Dopo Nico, 1988, Susanna Nicchiarelli torna al Lido con Miss Marx; un altro ritratto di donna che racconta, partendo dal funerale del padre Karl, la vita della sestogenita della famiglia Marx: Jenny Julia Eleanor Marx, soprannominata dai suoi cari Tussy ed unica ad essere suddita inglese per diritto di nascita. Militante socialista, traduttrice e attivista nel campo dei diritti delle donne, Eleanor Marx si legò in vita al socialista inglese Edward Avelling, figura maschile ingombrante con cui ebbe una relazione passionale ma dolorosa, data soprattutto dai problemi finanziari di lui.

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Siamo agli inizi di questa Mostra del Cinema, ed oltre alla presenza di un gran numero di registe donna, ritornano come una costante i racconti sul femminile: ritratti di donne reali o immaginarie, il documentario di Nathan Grossman sull’attivista Greta Thunberg ad esempio o la Selma di Cigar au Miel  nell’opera prima di Kamir Aïnoux. E in molti di questi racconti è assidua l’idea del corpo femminile come inteso come ingombro nello spazio sociale; quasi fosse un fardello che da secoli fatica a trovare il suo posto adeguato, sempre costretto a sgomitare in un mondo dominato dal maschile. Ad interpretare Eleanor Marx c’è l’attrice inglese Romola Garai, abilissima nel restituire la fierezza e l’intelligenza dello sguardo, ma soprattutto, attraverso i movimenti, l’idea della costrizione di uno spazio ricavato con fatica. La Nicchiarelli insiste e non dà tregua al corpo della sua attrice. Lo riprende spesso e volentieri chiuso, coperto da scialli pesanti, una figura che stona nel contesto prettamente maschile che lo circonda, quello politico. La regista mette in scena così una donna destinata a non trovare libertà tangibile di movimento, e quindi a soccombere alla costrizione della mente arrendendosi a una tragica malinconia, che la Garai non lascia andare mai, neanche per un minuto di film.

Soffriamo con Eleanor il fatto non poter essere concepita come indipendente dal controllo maschile, quello di un padre o di un marito che, anche se inconsciamente, non riescono a scardinarsi dall’idea di assoggettamento. Non nel corpo quindi la liberazione (se non in pochi brevi, luminosi istanti) ma piuttosto la liberazione dal corpo come unica via di fuga.

“Sebbene le donne abbiano fatto dei passi avanti per quel che riguarda i loro diritti, sono ancora assoggettate moralmente agli uomini” esclama  però ad alta voce Eleanor, osservando Edward che dorme. Ecco, solo le parole forse, gli enunciati (suoi e dell’amato padre) liberano Eleanor, che li legge ad alta voce spezzando la lineare narrazione del film. E la ribellione anche, la ricerca dello spazio attraverso la musica, con scoppi improvvisi di musica punk ad accompagnare spesso e volentieri l’uso delle immagini di repertorio. E forse è proprio qui che si evidenzia il difetto principale del film della Nicchiarelli, da queste scelte trasversali del film che in fondo fatica a sorprenderci davvero, a scuoterci. Anche la scelta di inserire elementi pop e anacronistici ci rivela dunque un’opera sicuramente riuscita per molti aspetti, che soffre però di una troppo facile intuibilità delle svolte narrative, come se fosse anche lei, a tratti, un corpo costretto nell’andamento della sua storia.

Regia: Susanna Nicchiarelli
Interpreti: Romola Garai, Patrick Kennedy, John Gordon Sinclair, Felicity Montagu, Karina Fernandez, Emma Cunniffe, Philip Gröning
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 108′
Origine: Italia, Belgio, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.82 (28 voti)
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