Neruda, di Pablo Larraín

Il percorso del grandissimo cineasta cileno appare ancora una volta di rara coerenza e lucidità e il suo cinema si conferma un formidabile dispositivo di memoria

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Chi è Pablo Neruda per Pablo Larraín? Un poeta? Un politico? Un mito popolare? Tutti e tre, si potrebbe banalmente dire. Un’altra domanda allora: come si concepisce un film su Neruda oggi, nel 2016, dopo aver ampiamente attraversato ogni confine immaginario? Ecco, Larraín ci risponde con una delle tante battute illuminanti che dissemina in questo sbalorditivo suo ultimo film: Neruda si nasconde in ogni persona(ggio), origina ogni movimento e crea anche il suo più accanito oppositore, perché è il “guardiano di una frontiera immaginaria”. Questo film non è un biopic classico (e ci svierebbe interpretarlo in quel modo), non è un film sull’eredità storica di un uomo, insomma “non è un film su Neruda ma un film nerudiano” come sintetizza perfettamente Larrain. E’ “una fantasia incentrata su di un artista deciso a inventare il suo destino attraverso la creazione del proprio stesso mito” che, come fossimo nella versione di Pablo (ma Pablo chi? Larraín? Neruda? Forse a metà strada…), diventa immaginario popolare prima e memoria condivisa poi.

nerudaDa questo punto di vista il percorso del grandissimo cineasta cileno appare ancora una volta di rara coerenza e lucidità: il suo cinema si conferma un formidabile dispositivo di memoria che rievoca forme e configurazioni, supporti e relative percezioni, archivi pubblici e finzioni private, in una folgorante e ormai collaudata dialettica rivolta solo allo spettatore contemporaneo. Lo sguardo è declinato sempre e solo al presente. E allora: come si raccontano oggi traumi cileni anni ’70 (dalla morte di Allende al tunnel oscuro dell’era Pinochet) e anni ’80 (quelli del radicale No)? Con il 16 mm prima e con il betacam poi (testimoniando la storia nella percezione di un dispositivo che sedimenta il tempo) e pedinando personaggi fittizi in inquadrature immersive, clandestine, rubate e sformate, perché ontologicamente resistenti all’immagine ufficiale che il potere ci ha lasciato.

Arriviamo al nostro film. Come si raccontano oggi il post Seconda Guerra Mondiale e i primi vagiti di Guerra Fredda in Cile? Filtrando la memoria attraverso il mito popolare di Neruda – interpretato da un grandissimo Luis Gnecco – poeta, scrittore e senatore comunista all’epoca di Gabriel González Videla: ossia nel periodo/incubatrice dei traumi futuri e di ogni Post Mortem. L’unico referente immaginario, allora, rimane il cinema classico hollywoodiano (atmosfere noir, mélo, sino all’improvvisa apertura di campo sul western…) che sta per incontrare il cinema moderno delle vague europee (come non vedere echi fassbinderiani in questa concezione plastica del set come accumulo di riferimenti incrociati? Come non vedere echi bertolucciani in questa paziente costruzione autoctona del mito in stile Strategia del ragno?) creando un folgorante ibrido tutto contemporaneo. Neruda diventa il deus ex machina della Storia che si fa cinema e viceversa: costruisce percorsi narrativi e poi li ribalta, pensa nuovi stili e poi li decostruisce, in quello che possiamo considerare una sorta di prequel di tutti i film di Larraín: l’apparizione fulminea di un giovane Pinochet in divisa è lì a testimoniarlo puntualmente.

neruda-pablo-larrainUn’ultima domanda diventa d’obbligo a questo punto: chi è questo strambo Oscar Peluchonneau (Gael Garcia Bernal) che ci guida in voice over come fossimo in Viale del tramonto? L’uomo che dice di “venire dal foglio bianco” è il poliziotto che sta alle calcagna del nostro protagonista-scrittore, perfettamente inserito nell’iconografia da noir classico: segue le canoniche piste, fiuta la sua preda, si sporca le mani, ma non arriva mai a una “fine”. Non risolve mai i suoi dilemmi e sembra non avere nessun interesse a disinnescare il dispositivo/Neruda, perchè il suo sogno di Spettatore incantato sarebbe definitivamente infranto. Ecco: Neruda è un incorporeo e inafferrabile sogno di libertà che sopravvivrà nel futuro, è colui che letteralmente spezza i sogni perturbanti del Potere (bellissima la sequenza dell’insistente clacson notturno che sveglia Videla nel cuore della notte) e consegna voce e parole al sentimento autentico di un popolo. No. Non siamo molto lontani dai giorni dell’arcobaleno a pensarci bene: Larrain riparte proprio dallo sguardo del pubblicitario René Saavedra (e non a caso torna il fantasma/Bernal a interagire con Luis Gnecco), traccia le radici della sua battaglia immaginaria (Chile, la alegría ya viene!) e frantuma ogni sterile cronologia solo per restituirci un’immagine finalmente libera. Insomma fondendo con visionaria radicalità Pablo Neruda (il Mito) e Oscar Peluchonneau (lo Spettatore che osserva da lontano), Larraín riconsegna solo al cinema le chiavi immaginarie ed emotive per interpretare, rammemorare e persino testimoniare il Novecento e il nostro presente. Il cinema, oggi, nonostante tutto. Straordinario.

Titolo originale: id.

Regia: Pablo Larraín

Interpreti: Luis Gnecco, Gael García Bernal, Mercedes Morán, Diego Muñoz, Pablo Derqui

Distribuzione: Good Films

Durata: 107′

Origine: Cile/Argentina/francia/Spagna 2016

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