Non conosci Papicha, di Mounia Meddour

Un esordio potente, censurato in Algeria, che ripercorre un trauma ancora vivo nel presente attraverso la storia di resilienza ed emancipazione di una giovane in fiamme

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“L’Algeria è solo una grande sala d’attesa. Siamo tutti in attesa di qualcosa: un lavoro, un posto in cui vivere”.

Due ragazze escono di nascosto di notte, si infilano in un taxi; alla radio passa la notizia di un attacco da parte di un gruppo armato – intanto le due si cambiano e indossano un abito da discoteca, bracciali e ombretto; mettono su una musicassetta e parte Get Up dei Technotronic. Everybody dance here!

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Siamo nell’Algeria di fine anni ’90 – ci informa una didascalia iniziale – nel periodo del cosiddetto decennio nero che ha coinvolto la popolazione civile in atti di violenza inenarrabile privandola di molte libertà inclusa quella di sentirsi cittadini, con conseguenze inevitabili ed evidenti nel presente. È urgente dunque, quanto immediata, la volontà della regista, classe 1978, di far incontrare il piano della finzione con una realtà che porta il peso dell’oblio e che comunque è sopravvissuta inconsciamente nelle persone della sua generazione.

Dopo una serie di documentari sulla condizione delle donne nelle società maghrebine, Meddour affida la narrazione del suo primo lungometraggio al personaggio di Nedjma (Lyna Khoudri, che aveva vinto il premio Orizzonti per la sua interpretazione in Les bienheureux, altro esordio e altro film sul trauma della guerra civile algerina), studentessa di moda che vuole restare nel suo paese, a differenza dei suoi coetanei, e diventare stilista nonostante un fondamentalismo esacerbato punisca le donne che non portano l’haik e che non si comportano secondo i dettami – indossare un jeans è visto come sinonimo di nudità.

La rivoluzione di Nedjma – soprannominata da alcuni papicha, bella ragazza – passerà proprio per il simbolo di quella cultura e religione, il velo appunto, che si accende di glamour e di un sentimento comune di ribellione. Il legame di sorellanza che unisce Nedjma alle sue amiche non è solo un grido di resilienza contro un sistema o una serie di ingiustizie che colpiscono l’individuo e la collettività – in questo caso l’istituto scolastico: Meddour mette in scena la complessità di un punto di vista provando a non fermarsi davanti a semplici contrasti di genere; i suoi personaggi, maschili e femminili, si muovono nel dubbio, nella possibilità che ciò che fanno o pensano possa in fondo essere sbagliato.

Affidandosi alla fotografia solida e penetrante di Léo Lefèvre – di grande impatto visivo e prive di eccessi le sequenze notturne – Meddour carica l’immagine cinematografica di dramma e tensione concentrandosi spesso sul volto della sua protagonista con primi piani che lasciano fuori campo o fuori fuoco gli aspetti più crudi della tragedia. E mentre Papicha, dal suo debutto a Cannes, prosegue la corsa tra festival e premi – l’ultimo riconoscimento ai Cesar Awards dove ha vinto come Miglior film e Khoudri come Miglior promessa femminile – l’annullamento dell’uscita in patria non ha certo impedito di vedere attraverso vari canali (home video, on demand e proiezioni speciali) questo potente ritratto della giovane in fiamme.

Titolo: Papicha
Regia: Mounia Meddour
Interpreti: Lyna Khoudri, Shirine Boutella, Amira Hilda Douaouda, Yasin Houicha, Zahra Doumandji
Distribuzione: Teodora Film
Durata: 108’
Origine: Francia, Belgio, Algeria, Qatar 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.44 (9 voti)
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