Resident Evil: Welcome to Raccoon City, di Johannes Roberts

L’abisso della gamification al cinema. Talmente legato al suo fandom, al suo immaginario da rinunciare a qualsiasi mediazione e deviazione. E l’atmosfera è opprimente anche per la regia

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Forse non c’è regista migliore per tornare a pensare gli spazi di Resident Evil al cinema di Johannes Roberts. Quello di Roberts è in effetti un immaginario claustrofobico oltreché pervaso da una spinta alla gamification, come dimostra il fondamentale The Strangers: Prey At Night sorta di gioco modulare e ricombinatorio sulla struttura degli slasher. Ma Roberts, che di questo nuovo reboot della saga, Resident Evil: Welcome to Raccoon City, è anche sceneggiatore si ritrova a maneggiare una materia complessa, incandescente, che dopo le vertiginose divagazioni cyberfemministe di Paul W.S. Anderson, punta a riappacificarsi con il fandom. Gli ordini sono chiari: tornare nei riconoscibili ambienti del gioco Capcom, a partire dalla trama, che nell’unire spunti provenienti tanto dai primi due capitoli della saga quanto dal prequel Resident Evil 0, sembra puntare ad una storyline volutamente sovrabbondante, come a risarcire il pubblico dopo le divagazioni Andersoniane.

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E così, quel 30 settembre 1998 (altra data fondamentale per la mitologia della saga) che fa da cornice al film, il giorno in cui Claire Reidfield torna a Racoon City, si ricongiunge al fratello Chris e, insieme ad un gruppo di sopravvissuti deve fronteggiare un’epidemia zombie, è la simbolica data di morte della gamification al cinema. Perché nell’ossessiva ricerca della fedeltà filologica alla fonte (a tal punto che intere sequenze cult del videogame vengono ricreate in live action), Welcome to Raccoon City  non solo abbandona ogni pretesa di dialogo tra media differenti ma organizza un sistema evidentemente chiuso, protetto, accessibile davvero forse solo al fandom, l’unico in grado di decodificare strutture, spunti, di sicura presa, proprio perché non edulcorati, ma allo stesso tempo anomali a contatto con il sistema d’arrivo.

Sta agli appassionati trovare il bandolo di un racconto, infarcito di personaggi, citazioni, easter eggs, che in realtà non riesce a gestire le sue numerose linee narrative e che entra nel vivo quando è troppo tardi; sono loro quelli chiamati a fare chiarezza in uno spazio che assorbe, senza mai comprenderlo davvero, il complesso tono della saga, sempre a cavallo tra horror americano e suo ripensamento grottesco da una prospettiva asiatica.

E così il racconto di Welcome to Raccoon City si fa sempre più rigido, mentre il cast non riesce a nascondere le difficoltà nell’appropriarsi di dinamiche videoludiche che al cinema risultano stranianti. Più che a Claire o a Chris, l’empatia dello spettatore è forse riservata a Johannes Roberts che si affanna, sgomita, per far sentire la sua voce. A volte le sue sono piccole interferenze, che però bastano a far deviare il film verso i suoi momenti più riusciti: Roberts gioca con la soundtrack come in Prey at Night, forza i confini del Canone con digressioni che sembrano add-on, espansioni, di una struttura chiusa, addirittura tratta l’iconico Wesker come un personaggio gamificato, un avatar guidato dall’esterno attraverso le trappole di villa Spencer.

In altri casi la sua presenza si fa più evidente e allora gli spazi si aprono e le potenzialità della messa in scena vengono esplorate in ogni loro sfumatura, tra piani sequenza, false soggettive ed exploit arthouse. Roberts prova ad aprire uno spazio altrimenti opprimente, a rendere 3D una dimensione forzatamente bidimensionale, quasi a voler traslare al cinema la clamorosa rivoluzione Copernicana della saga, passata nel giro di un episodio dalla camera fissa a quella mobile. Ma la struttura che vorrebbe ribaltare resiste, lui è solo e, forse, la sua ribellione è tardiva.

Resident Evil. Welcome to Raccoon City, ricostruisce un sistema di segni ma spinge l’evoluzione della gamification al cinema indietro di vent’anni, privilegiando la strada più facile allo sguardo di un cineasta dallo straordinario potenziale, che, forse, non potrà salvare il neonato franchise da un nuovo reset.

 

Titolo originale: id.
Regia: Johannes Roberts
Voci Originali: Kaya Scodelario, Robbie Amell, Donal Logue, Tom Hopper, Hannah John-Kamen
Distribuzione: Sony Pictures/Warner Bros.
Durata: 107′
Origine: USA, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
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