Torna per una seconda stagione il più ambizioso prodotto Groenlandia, racconto seriale della fondazione di Roma che tenta l’innesto tra peplum e serialità dinastica-fantasy in stile Game of Thrones, le rievocazioni muscolari di Gibson e Snyder e la versione rupestre degli intrecci di clan alla Gomorra (d’altronde il marchio è sempre Sky). Dopo un film e un primo ciclo di episodi, le due puntate viste alla Festa del Cinema di Roma ripartono da una sorta di rivisitazione del “ratto delle Sabine” che setta da subito il mood apertamente sensuale della stagione (siamo sempre in zona serialità “adulta”, tra HBO e Spartacus…), tra coreografie rituali di sacerdotesse di magnetismo primordiale e una generale atmosfera onirica e un po’ discinta, aiutata moltissimo dalle ambientazioni in larga parte notturne dove Vladan Radovic ha modo di disegnare la luce nel contrasto tra fiamme e oscurità.

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Dunque. Ritroviamo Yemos, Wiros, Ilia, il gruppo di Ruminales e i cittadini di Alba insediati in quella che un tempo era Velia, ora divenuta città libera e indipendente col nome di Ruma. Ma la minaccia dei Sabini è dietro l’angolo, e questa nuova insidia è destinata a modificare ulteriormente l’equilibrio politico così faticosamente conquistato sul territorio. L’ago della bilancia saranno nuovamente le donne, non solo la madre dei fratelli e signora di Alba, ma anche le guerriere insieme a cui Rumia viene governata e addestrata alla guerra. In quest’ottica, visto anche che nel roster dei registi (oltre allo stesso Rovere che è in sostanza lo showrunner del prodotto, tornano Enrico Maria Artale e Michele Alhaique) entra a far parte Francesca Mazzoleni, Romulus 2 si anticipa come una storia portata avanti soprattutto dagli archi narrativi dei personaggi femminili, con la sacerdotessa guerriera di Marianna Fontana come reale eroina degli eventi, figura che sintetizza appieno le due tensioni che animano la serie, quella più visionaria e quella invece legata strettamente al fango da cui sorgerà Roma. E non è allora un caso se, tra le new entry dell’esercito antagonista di questa stagione, i lascivi Sabini, più che il sovrano Titos il cui look e comportamento sono una sorta di incrocio tra il Serse di 300 e un influencer del giro trap, a lasciare il segno sia la sacerdotessa Ersilia di Valentina Bellé, di cui intuiamo un’evoluzione importante nel seguito degli episodi.

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È indubbio come le produzioni Groenlandia si confermino un laboratorio costante di aggiornamento delle narrazioni popolari di scuola italiana alle istanze linguistiche internazionali del contemporaneo, nonostante ancora una volta l’apparato formale si fermi un attimo prima di abbracciare interamente l’iperbole visiva, sia nelle sequenze di battaglia (dove la reiterata soluzione di “alzare in cielo” l’inquadratura dall’alto è sempre meno soddisfacente) che in quelle di tribale coreografia liturgica. A queste incertezze sopperisce però la grande attenzione alla costruzione dei personaggi, dei loro volti, comportamenti, animi e inquietudini, un disegno solido che si regge sulle spalle degli interpreti e della loro fluidità nell’utilizzare una lingua spigolosa come il protolatino della serie.

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