Spider-Man: Across The Spider-Verse – Glitch Paranoia

Il glitch è l’errore di un software ma anche il caos che attende oltre i dati e i sensi. Forse quella del glitch è allora l’unica paranoia possibile nel nostro mondo liquido e digitale

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Siamo davvero sicuri che Miguel O’Hara stia dicendo la verità?

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Quando la sua rabbia esplode, in quel “Tu neanche dovresti essere qui!” che pare soprattutto il tentativo, disperato, di far mettere a Miles “l’eroe al centro del villaggio”, gli equilibri di tutto il progetto, in effetti, sembrano chiarissimi.

Insieme a pochi altri progetti recenti la (futura) trilogia di Lord/Miller dedicata all’arrampicamuri afroamericano pare davvero un testo essenziale sulla vita delle immagini ma soprattutto sull’elemento umano nello spazio digitale. Se il primo capitolo è in effetti null’altro che la storia di un’immagine analogica (Miles) che diviene, gradualmente, digitale, Across The SpiderVerse può essere riassunto come il primo contatto di quell’immagine con uno spazio inedito. Ma qualcosa va storto, il protagonista è un ribelle, non pare riuscire a conformarsi con il sistema, come un glitch nello SpiderVerso, che dunque, ora, deve essere eliminato.

Ma davvero è solo questo?

Forse bisogna chiarirsi. Canonicamente, il glitch è un momentaneo malfunzionamento di un programma informatico che genera un output imprevedibile per l’utente. Ma pare anche un elemento dell’Hauntology Fisheriana, il glitch, un “fallimento della presenza”, innescato da un meccanismo che salta nel mondo reale e che permette di guardare “dall’altra parte”, un altrove che tuttavia è caotico, inconoscibile.

Allora forse Miguel è spaventato perché vede qualcosa negli occhi di Miles, una squarcio su un Apocalisse di là da venire, proveniente da uno spazio, quello digitale, che dovrebbe essere, invece, controllabile, misurabile, in ogni sua parte.

Glitch

Pare davvero l’unica paranoia possibile oggi, quella del glitch, che quasi ribalta di segno il terrore della Matrice degli anni ’90. Perché ora siamo andati oltre, ora siamo coscienti di essere persi nella rete, di ragionare, pensare quel linguaggio anche se viviamo nel mondo reale, ma cosa succede quando questo sostrato cede?

Ricostruire la genealogia della paranoia glitch non è semplice, anche e soprattutto per il suo strettissimo legame con gli spazi corsari del web 1.5 e 2.0 ma forse il gaming può darci una mano.

Nel 2005 esce Matrix – Path Of Neo, tie in della trilogia dei Wachowski che riattraversa il racconto nell’ottica del glitch. Perché mentre la narrazione sfiora certi punti nodali dei tre film, non mancano le occasioni che fanno “saltare il banco”, le frecciate “meta”, come se il gioco fosse una parodia semiseria di quello spazio digitale su cui insiste. Così può capitare che, durante una fuga dagli Agenti, il protagonista si ritrovi a combattere durante un’udienza del senato per discutere della violenza nei videogiochi, fino ad arrivare, ovvio, alla straordinaria vertigine dall’epilogo del gioco, di fatto un finale alternativo alla trilogia che va a sostituire quello originale giocando tuttavia sul parossismo di uno scontro tra eroe ed antagonista mai così simili a giganteschi Kaiju.

 

 

Ma pensiamo anche ad Haze, shoot em up Verhoveniano su soldati potenziati da una droga, la Nectar che in realtà serve a manipolarli e non far rendere loro conto degli orribili crimini che la corporation di turno compie attraverso di loro su degli indigeni innocenti. Tutto si ribalta, prevedibile, quando il protagonista subirà violente crisi d’astinenza che gli faranno scoprire la verità “dall’altra parte”. È un cliché, è vero, eppure colpisce questo ragionare di “ritorno al mondo vero” incapsulato, tuttavia, nello spazio digitale, come se il medium premesse per esondare nella realtà tangibile.

Ed in effetti il salto avviene una manciata di anni dopo. Già all’inizio degli anni ’10 i forum si popolano di testimonianze di utenti che raccontano le loro esperienze nelle Backroom, ambienti che ricordano quelli di uffici o alberghi, silenziosi, anonimi, stranianti. Il linguaggio delle testimonianze è peculiare: i testimoni dicono di aver improvvisamente “glitchato” e di essersi ritrovati in questa sorta di sala d’attesa della realtà, per poi tornare nel “mondo vero”. Una delle più interessanti interpretazioni del fenomeno è quella di Valentina Tanni su Not, per la quale le backroom sono la prefigurazione del timore tutto contemporaneo di attraversare la soglia, di confrontarsi con la crudezza del mondo vero. Quando questa soglia, dice la Tanni, si allunga a dismisura ed incontra il gergo del web 2.0 ci si ritrova a raccontare di questi strani spazi limbici che ci attraggono e spaventano. Mark Frauenfelder lega invece le backrooms alla loro componente tecnologica, al loro essere, cioè create da algoritmi procedurali dagli output praticamente infiniti. Frauenfelder torna dunque all’origine dello spunto, si infila nella dimensione macchinica del fenomeno e la lega, tra l’altro ad un altro spettro dei nostri tempi, il COVID a cui, dice, quegli spazi chiusi, abbandonati, rimandano.

Glitch

E non è il solo. Nel 2017 esce infatti Doki Doki Literature Club, in apparenza un normalissimo dating sim concepito però come un inquieto saggetto sull’impatto tra il glitch ed il mondo vero. All’apice della storyline, infatti, l’esperienza di gioco cambia improvvisamente. Una delle protagoniste è infatti diventata senziente e, dice, ha estromesso dal gioco  tutte le altre idol perché follemente innamorata non del personaggio maschile ma proprio del giocatore. Intrappolato in un loop falsamente idilliaco, costretto a confrontarsi con un’entità che conosce addirittura il contenuto del nostro PC, l’unica salvezza del giocatore è eliminare materialmente il file del personaggio impazzito dal gioco. Solo così tutto tornerà come prima.

Si tratta di una mossa essenziale, che conferma quanto l’unico modo per reggere lo shock del contemporaneo sia ragionare in termini post umani, espandendo le proprie percezioni attraverso la tecnica. Così non è un caso se esiste una wiki delle backroom, come a tracciare una guida contro l’inquietudine.

Perché l’unico modo per sopravvivere alla glitch paranoia è assecondarla attraverso il proprio agire nello spazio. Dopotutto lo faceva anche J Dilla, leggendario producer Hip Hop che componeva con un campionatore MPC 3000 su cui, però, lavorava cercando l’errore, il fuori tempo, il calore rispetto alla freddezza della macchina, la presenza umana che abbraccia l’anomalia.

Ma la resistenza va oltre la musica, sfiora i simulatori di lavoro, “rotti” attraverso i glitch dai giocatori (ne parlavamo diffusamente qui) e arriva all’estetica Vaporwave, un ribaltamento caldo, accogliente, delle atmosfere inquiete degli spazi liminali.

Eppure è indubbio che questa ribellione postumana ha tutto il sapore di un sollievo momentaneo.

L’intelligenza Artificiale pare in effetti la perfetta prosecuzione della paranoia glitch, un abisso inquieto su spazi impossibili ma credibili, creature misteriose, opere mai realizzate nel nostro mondo.

A proteggerci, forse, c’è il fatto che il sistema non è ancora arrivato al massimo potenziale, quando ciò accadrà, tuttavia, riscrivere il sistema di segni, forse, potrebbe essere più complesso del previsto.

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